Perché tra le varie ipotesi del momento vuoi che non ci sia chi spara l’ennesima rifondazione, con un nuovo simbolo, un nome nuovo, tutto un vento di cambiamento, certo che sì. Il sistema politico del nostro paese usura come pochi altri nei multiversi conosciuti, nessuno viene risparmiato, dagli acronimi ai leader, ai loghi. Buono, buonissimo per i grafici pubblicitari e gli specialisti della comunicazione. Male, malissimo, per chi dovrebbe con cadenza quinquennale eleggere i propri rappresentanti.

Dunque, prepariamoci a congedare anche il Pd, Partito democratico. E dire che negli Stati Uniti, patria del marketing e delle armi a cuor leggero, l’acronimo continua a fare alla grande il suo dovere.

In attesa del logo-nome-volto nuovo, allora ecco una breve missiva, per tracciare un identikit di partito progressista, dettato da un figlio del progresso, uno di quelli che se fosse nato due secoli indietro avrebbe speso la sua vita in mezzo ai campi, da bracciante, o tutt’al peggio dentro il padiglione di qualche eterno manicomio.

Sull’europeismo c’è poco da spendere, lo si dà agli atti. In questo mondo globalizzato gli stati contano sempre di meno. Cosa può uno Stivale contro quelle piovre alla Amazon, solo per citare la più tentacolare. Ecco, forse dall’europeismo un primo filo rosso da seguire viene fuori come un coniglio dal cappello. Lotta senza quartiere alla fiscalizzazione dei colossi della rete. Perché quando si parla di fiscalità riguardo questi giganti il tema sembra interessare il giusto. Invece è il primo punto, il passo uno.

Andando a braccio il nuovo partito, o il vecchio tirato a lucido, dovrebbe capire una volta per tutte la differenza tra popolo e populismo. Tutti i funzionari e dirigenti, sarà il neosegretario a dare il buon esempio, si faranno tatuare sulla schiena queste poche parole. Popolo: buono. Populismo: cattivo. Come riconoscere l’uno senza rischiare di cadere nell’altro? Ecco poche e semplici regole.

In primis: il popolo è uno e indivisibile. Il plurale di popolo porta di per sé a pericolosi equivoci. In linea di massima il popolo lotta per avere accesso ai propri diritti, la cosa, oltre a farlo incazzare non poco, tende a renderlo timoroso. Buona regola è non soffiare sulle paure, tanto a questo ci pensa Salvini.

Altro precetto che potrebbe rivelarsi utile. Un politico che voglia farsi rappresentante del popolo deve avere, strano ma è così, una qualche simpatia verso quelli che nel segreto dell’urna gli daranno il proprio consenso. Verso il popolo, non quello visto nelle fiction, no, il popolo vero, quello che parla male e si veste peggio, quello che vive dentro case non belle, in quartieri poco attrezzati.

Il popolo vero.

Torniamo alle cosucce messe agli atti dalla storia.

Su ius soli e ius culturae nessuno potrà obiettare, come su riforma della giustizia e del fisco. Ma questi sono meccanismi, il fuoco va messo sui princìpi fondatori, su ciò che diventerà la via maestra.

Perché il problema vero, se ne saranno accorti, almeno lo si spera, non è sul come, è tragicamente sui perché. Perché una forza progressista e democratica? Per fare cosa? Per andare dove? Per mezzo di quale visione di presente e futuro?

Il prossimo segretario della forza progressista del nostro paese dovrà per prima cosa girare in largo e in lungo questo suolo bellissimo che il destino ci ha voluto donare come casa. Dalle frane che portano in mare cimiteri interi, gli ospedali devastati da anni e anni di spending review, le scuole, per non dire le carceri.

Ripartire dai nostri luoghi pubblici, perché il decoro dei luoghi non è un ricamo, è il decoro di chi ci vive, perché la penuria di speranze e ideali parte dalla sconfitta del territorio, il senso d’abbandono non è un’astrazione, basta andare in tanti quartieri delle nostre città per capirlo.

Ecco, forse il primo comandamento non si distanzia troppo dal poco sopra. Ripartire dalla realtà. Questo potrebbe essere il claim della nuova campagna.

Ripartire da una pandemia che ha spaccato in due il nostro tessuto sociale. Da una parte il nocciolo duro della ricchezza, che ammortizza qualsiasi scossone del destino, dall’altra tutti gli altri, a ringhiarsi contro per non cedere, un poco al giorno, quel minimo di tranquillità che si era guadagnato lungo gli ultimi decenni.

Perché il quadro è questo. E non è semplice per niente.

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