L’impero americano barcolla e la provincia si domanda: cosa avranno da dire Matteo Salvini e Giorgia Meloni? Era inevitabile. Il leader della Lega e quella di Fratelli d’Italia hanno costruito gran parte del loro successo come succursale italiana dell’internazionale del populismo. Quella che dopo la vittoria di Donald Trump nel 2016 sembrava pronta a governare il mondo e che oggi balbetta condanne stentate e frasi di circostanza davanti al sacco di Washington.

Anni di Brexit, Nigel Farage, Marine Le Pen, Viktor Orbán, Boris Johnson, Geert Wilders e via dicendo, con Trump a fare da modello e mentore. Nelle ultime ore abbiamo visto gli esiti di tutto questo. I sostenitori del presidente americano che assaltano il Campidoglio e un dubbio che si insinua: vuoi vedere che a forza di lanciare slogan deliranti alla fine c’è qualcuno che li prende sul serio? Così il faro del populismo si trasforma in una tenebra che rischia di ingoiare tutto. A cominciare dai trumpiani nostrani.

Difficile immaginare un governo di unità nazionale guidato da una personalità terza che tenga all’interno della maggioranza anche Salvini e Meloni. Ancora di più pensare a elezioni anticipate che potrebbero dare a Lega e Fratelli d’Italia la possibilità di arrivare a palazzo Chigi. Erano le due ipotesi più complicate da realizzare, ma ora appaiono impossibili. Servono «costruttori», ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non certo gli emuli dei distruttori mascherati da bufalo (peraltro le corna a Pontida sono sempre andate di moda).

Anche una crisi di governo, in un momento di grande instabilità internazionale con gli Stati Uniti nel caos, non sembra più un’idea così geniale. Giuseppe Conte, forse, sta tirando un sospiro di sollievo. Eppure anche “Giuseppi”, in fondo, deve molto del suo successo a Trump. Non solo per i tweet e le strette di mano. Il premier che si è autonominato “avvocato del popolo” e ha rivendicato a modo suo la bontà dell’essere «sovranista e populista», fa pur sempre riferimento a un partito, il Movimento 5 stelle, che prima di sedersi comodamente in poltrona ben volentieri avrebbe «aperto il parlamento come una scatoletta di tonno».

Provate a immaginare come verrebbe accolta oggi una frase del genere? Non a caso anche Conte è ambiguo nel condannare la violenza di Washington. E presta il fianco a Matteo Renzi, che ne approfitta per portare questo argomento nella contesa politica domestica. Chissà che non sia giunto finalmente il momento di uscire dal Grande Fratello per rientrare nella politica. Quella fatta di partiti, istituzioni, tradizioni e regole da difendere e tutelare. E non di post e like su Facebook. Forse è vero. Alla fine Salvini, Meloni e Conte si ritroveranno insieme. All’opposizione.

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