Nelle ultime settimane Bce, Federal Reserve (Fed) e Banca d’Inghilterra, hanno ribadito all’unisono lo stesso concetto: non aumentiamo i tassi, né pensiamo di farlo, perché l’inflazione è un fenomeno temporaneo.

La Fed ha avviato la riduzione degli acquisti di titoli, ma è un’operazione di gestione di una liquidità in questo momento fin troppo abbondante.

Di un eventuale aumento si riparlerà, se del caso, solo dopo che l’intero programma di acquisti sarà azzerato; e nel caso che il governatore Powell in scadenza non venga rinnovato dal presidente Joe Biden, il nuovo potrebbe essere ancora più accomodante.

Stesso messaggio da Christine Lagarde, presidente della Bce: escluso qualsiasi aumento, e il Piano di acquisti per l’emergenza Covid (Peep) verrà rimpiazzato alla scadenza nella primavera prossima.

Addirittura retromarcia da parte della Banca d’Inghilterra rispetto a un aumento ventilato.

Gli investitori non ci credono: la “temporaneità” delle banche centrali comincia ad assomigliare solo a un modo per rimandare ogni decisione, senza un vero piano di contingenza.

Così, nonostante le rassicurazioni, il mercato dei futures sconta oggi aumenti da parte della Fed per 70 centesimi nel 2022 e altri 85 nel 2023; e 29 centesimi già nel 2022 da parte della Bce, più altri 27 nel 2023.

Scetticismo ragionevole. Le disfunzioni nelle catene di produzione, i ritardi e i maggiori costi della logistica, la penuria di materiali e componenti si risolveranno col tempo ma intanto hanno fatto lievitare i costi: i prezzi alla produzione stanno salendo del 13 per cento in Cina, del 14 in Germania e del 9 negli Usa.

Data la forte domanda, sostenuta dalle politiche espansive, le imprese riescono a trasferire i maggiori costi sui consumatori: si stima che quest’anno i margini saranno in media più alti del 2019, e in ulteriore aumento nel 2022, sia negli Usa sia in Europa.

L’inflazione è dunque destinata a peggiorare prima di migliorare. Più a lungo durano questi rialzi “temporanei” più alto il rischio che l’inflazione si radichi, innescando aumenti salariali, come già accade negli Stati Uniti.

La globalizzazione e le catene di produzione in Cina e Sud Est Asiatico sono state l’elemento cruciale della stabilità dei prezzi degli ultimi 20 anni, ma destinato a venir meno con la tendenza alla de-globalizzazione e all’isolamento della Cina. E il taglio degli investimenti nelle energie fossili implicito nel green deal causerà un aumento medio del costo dell’energia durante tutta la transizione, che non sarà breve.

Il vero pericolo

Federal Reserve Chair Jerome Powell is seen in a reflection as he testifies before a House Financial Services Committee hearing on Capitol Hill in Washington, Wednesday, Dec. 2, 2020. (Jim Lo Scalzo/Pool via AP)

Il rischio per gli investitori non è che le banche centrali non aumentino i tassi, ma che lo facciano troppo e troppo tardi, a inflazione ormai radicata, con un effetto depressivo sull’economia.

Lo prova il fatto che la curva dei tassi si è rapidamente appiattita ovunque nel mese di ottobre, ovvero si è ridotto il differenziale tra il tasso a 30 anni, maggiormente correlato ad aspettative di inflazione e crescita a lungo termine, e quello a 2 anni.

Questo movimento della curva per il momento è parzialmente rientrato, ma è solo un assaggio di quello che ci potrebbe aspettare l’anno prossimo, con due importanti avvertimenti per l’Italia.

Primo: i movimenti dei tassi possono essere repentini. Nonostante l’ombrello della Bce, la ripresa in atto e l’inusuale stabilità politica, i timori di inflazione nel mondo hanno causato un rialzo del rendimento del decennale italiano dallo 0,7 per cento di fine settembre a un massimo dell’1,25 in ottobre: meno di un mese.

Secondo: meno della metà di questo rialzo è spiegato da un aumento del titolo equivalente tedesco, il resto da un allargamento dello spread.

Se i timori di inflazione fanno salire i tassi nel mondo, l’effetto in Italia sarà amplificato, soprattutto l’anno prossimo, con il paese in campagna elettorale permanente.

Per i politici italiani l’ombrello indiscriminato della Bce è per sempre. Io non ci conterei. I tassi negativi stanno distruggendo il risparmio previdenziale tedesco e l’inflazione, andando avanti, comincerà a farsi sentire nelle tasche dei cittadini.

Finita l’emergenza Covid, anche l’ombrello della Bce potrebbe cominciare a chiudersi prima del previsto.  Meglio tenere in conto questo rischio. Ma dubito che la politica italiana sia così lungimirante.

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