La battaglia con l’inflazione è tutt’altro che vinta. Le misure restrittive della Bce sono così poco popolari che molti economisti e politici sono sempre in cerca di segnali che consentano di proclamare vittoria e pretendere così che la politica monetaria torni accomodante.

Ma le previsioni d’inverno della Commissione europea, pur con tutta la prudenza tipica di documenti così istituzionali, confermano che la situazione è delicata.

L’inflazione nell’Unione europea, stima la Commissione, dovrebbe scendere dal 9,2 per cento del 2022 al 6,4 del 2023 fino ad arrivare al 2,8 per cento nel 2024, che è comunque più di quel 2 per cento che la Bce ha nel mandato e che considera stabilità dei prezzi. Tutto è bene quel che finisce bene?

A vedere solo questo numero, combinato con quello del Pil, sembra quasi un “soft landing”, un atterraggio morbido dopo gli anni di pandemia e guerra, che riesce a salvare la crescita e arginare l’inflazione.

Il Pil dovrebbe crescere dello 0,8 per cento nel 2023 e dell’1,6 nel 2024, poco ma meglio che niente. La disoccupazione rimane ai minimi storici, al 6,1 per cento.

Ci sono però molti segnali assai poco rassicuranti, sull’andamento dei prezzi.

Sotto la cenere

La frenata dell’inflazione si deve soprattutto all’andamento del prezzo dell’energia, con gas e petrolio lontano dai picchi dei mesi scorsi grazie anche all’inverno più mite del previsto e al calo dei consumi, a novembre 2022 l’Ue ha consumato il 25 per cento in meno della media degli ultimi cinque anni per quel periodo.

L’inflazione core – di fondo – quella al netto delle componenti più volatili come energia e prodotti alimentari, continua a salire, anche a gennaio.

Il cibo lavorato è in aumento del 14,9 per cento, i beni industriali esclusa l’energia del 6,9 per cento. E l’inflazione nei servizi è al 4,2 per cento.

In alcuni Stati l’inflazione scende, in altri continua a crescere, con la Germania sopra il 9 per cento annuo.

La Commissione spera e stima che l’inflazione sia arrivata al suo picco e ora inizi a scendere, anche se ci sono molti punti incerti in questo scenario.

 A cominciare dal fatto che la stessa Commissione si aspetta che l’inflazione nei servizi continui a rimanere elevata: i servizi sono tra i segmenti dell’economia che vengono più impattati dalla recente crisi della globalizzazione, con meno competizione internazionale è inevitabile che i prezzi salgano.

Nel sondaggio della Commissione sui prezzi di vendita, si vede che il picco nelle aspettative nel settore dei servizi è stato ad aprile, ma poi non c’è mai stato un ritorno alla normalità anche se il tasso di crescita ha rallentato.

Le incognite sono in gran parte geopolitiche: la Cina tornerà a consumare come una volta o le conseguenze delle sue oscillanti politiche anti-Covid si faranno sentire ancora a lungo? E la guerra in Ucraina, quanto durerà e con che implicazioni per il mercato dell’energia?

Se la Cina si riprende a breve – come la Commissione si aspetta – darà un contributo positivo alla crescita mondiale, ma anche all’inflazione, perché salirà la sua domanda di energia. Se invece continuerà l’attuale percorso incerto, ci sarà meno pressione sui prezzi ma anche meno spinta al Pil.  

Le tensioni tra Cina e Stati Uniti, comunque, già impattano sul commercio internazionale, mentre salgono tutti gli indicatori di protezionismo, misurato attraverso l’adozione di misure che ostacolano il commercio.

Senza recessione

In Italia, dice la Commissione, l’inflazione core continuerà a crescere nel 2023 per poi iniziare a scendere nel 2024 (ma stime così lontane sono poco precise), mentre i salari verranno erosi nel potere d’acquisto grazie al fatto che la contrattazione collettiva non riesce a tenere conto di rapide evoluzioni nei prezzi.

Il fatto che la temuta recessione non si stia verificando è una buona notizia, ma ha come inevitabile corollario che il problema dell’inflazione non si correggerà da solo attraverso una riduzione di domanda, o almeno non così rapidamente come sarebbe successo con una frenata nella crescita.

Presto o tardi, il malessere dovuto al fatto di diventare ogni giorno un po’ più poveri inizierà ad avere conseguenze sociali e politiche, che non possono essere sempre prevenute grazie a trasferimenti straordinari e sussidi come è successo nel 2022.

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