Oggi non si rischia né pioggia e né vento, oggi non si sogna di navigare, oggi il mare lo andiamo a salutare» (Buontempo, Ivano Fossati). C’era “buontempo” sulle coste della Libia la scorsa settimana. Per questo centinaia di persone sono scappate sulla spiaggia e sono salite sulle imbarcazioni più o meno di fortuna, più o meno organizzate da scafisti e trafficanti, per attraversare quel mare che assomiglia sempre più a un cimitero maledetto e sconsacrato.

Per cercare chi un poco di speranza, chi di salvezza, chi la pace. Quattrocentocinquanta di loro, nella notte tra giovedì e venerdì scorso hanno avuto la buonasorte di incrociare delle navi. Delle navi civili che fanno quello che l’Italia, Malta e l’Europa intera si rifiutano incredibilmente di fare: salvare vite. Altre centinaia, probabilmente, non sono state altrettanto fortunate. Perché per una scelta disumana e criminale i governi europei, quello italiano in primis, impediscono alle navi della marina e della guardia costiera di intervenire con dei salvataggi se non in prossimità delle coste, di poco fuori dalle proprie acque territoriali.

A una settimana da quella notte, ci sono 800 persone che stanno ancora aspettando di essere sbarcate, perché le autorità non hanno ancora assegnato un porto, e la situazione sulle navi di Sos Méditerranée e di Sea-Watch è diventata più che insostenibile. Pericolosa. «La situazione – dicono da Sea Watch - continua a peggiorare drammaticamente. Molte persone sono disidratate fino al collasso, altre hanno ferite infette o infezioni della pelle. Per tutte le persone a bordo chiediamo alle autorità l’assegnazione immediata di un porto sicuro». Dalla Ocean Viking di Sos Méditerranée confermano la pericolosità della situazione a bordo: «Con l’aumento delle onde e il caldo soffocante, le condizioni fisiche dei naufraghi su Ocean Viking stanno peggiorando. Continuiamo a valutare, curare e monitorare i pazienti, ma tutti i sopravvissuti devono sbarcare in un porto sicuro il prima possibile».

Il governo italiano invece fa il minimo, e per evitare pesanti condanne concede evacuazioni mediche solo per chi è in imminente pericolo di vita. Il salvataggio in mare non è più considerato un’emergenza e nessuno si preoccupa del fatto che, mentre queste navi stanno ferme in attesa di sbarcare i naufraghi salvati, ci sono altre centinaia di naufraghi che nessuno salverà dalla morte per annegamento o dalle torture nei campi in Libia.

«A bordo di queste navi ci sono persone che hanno già sofferto fin troppo: abusi, violenze, poi lo shock del viaggio in mare. Non devono passare un minuto più del necessario sul ponte di una nave», dicono da bordo della nave Resq People, della “nuova” organizzazione ResQ, che sta per salpare dalla Spagna verso il Mediterraneo centrale.

Il punto, ha ragione il deputato Erasmo Palazzotto (Leu), è che «grazie alle poche navi civili di soccorso ancora presenti, molte tragedie sono state scongiurate, ma che il peso e la responsabilità dei soccorsi sia interamente lasciato a loro è inaccettabile». L’Europa deve immediatamente riattivare un sistema di ricerca e soccorso, sul modello di Mare Nostrum, se non vuole passare alla storia – non sarebbe la prima volta – come mostruoso carnefice.

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