Ormai è evidente che c’è un problema Ucraina per il governo Meloni e che c’è un problema governo Meloni per la risposta europea alla Russia in Ucraina. Prima la presidente del Consiglio si è lamentata perché il presidente ucraino Volodomyr Zelensky aveva incontrato il presidente francese Emmanuel Macron e Olaf Scholz a Parigi, alla vigilia del Consiglio europeo, segno di una gerarchia chiara tra l’Europa che decide e quella che esegue.

Poi Meloni ha provato a rimediare, e ha annunciato un incontro bilaterale con Zelensky a Bruxelles, per dimostrare che anche lei è coinvolta e non è da meno di Scholz e Macron (anche se chi si lamenta di non essere invitato a un evento certifica la propria irrilevanza). Ma anche questo tentativo di salvare la faccia è andato male, l’incontro bilaterale è diventato un vertice allargato a Spagna, Polonia, Romania, Olanda e Svezia.

A peggiorare ancora il disastro di immagine di Meloni, arrivano foto di questo vertice nelle quali Meloni non si vede. Segue il chiarimento anonimo alle agenzie, Meloni e il premier olandese Mark Rutte a “erano entrambi presenti, sono arrivati un po' in ritardo”, dice una “fonte diplomatica Ue” all’agenzia Lapresse.

Nessuno si fida dell’Italia 

French President Emmanuel Macron, center, Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy, left, and German Chancellor Olaf Scholz, attend a joint press conference at the Elysee Palace, Wednesday, Feb. 8, 2023 in Paris. Western support has been key to Kyiv's surprisingly stiff defense, and the two sides are engaged in grinding battles. (Sarah Meyssonnier, Pool via AP)

Ci sono sufficienti indizi da fare molto più di una prova: l’Italia non soltanto è un partner di seconda fila nella coalizione occidentale anti-Putin, ma è trattata con diffidenza. Zelensky si è commosso nel suo discorso al parlamento europeo, le occasioni di difendere la causa ucraina certo non gli mancano, ma proprio questo la sua partecipazione mancata, dopo gli annunci e le polemiche, al festival di Sanremo finisce per assumere un valore simbolico eccessivo. La sintesi della scarsa convinzione con cui l’Italia sostiene la causa ucraina.

Meloni non è ancora andata a Kiev, anche se lo annuncia dalla campagna elettorale di settembre. Forse teme una reazione analoga a quella del presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, che ad agosto si è visto respinto da Zelensky.

La Germania ci ha messo poi molti mesi e un cambio di linea sull’embargo energetico e sull’invio dei carri armati Leopard per farsi perdonare le posizioni troppo filo-russe del suo passato recente.

Meloni non può andare in Ucraina almeno finché il suo governo non approva il nuovo decreto armi, atteso da settimane ma mai arrivato. Poiché i contenuti esatti delle forniture militari italiane a Kiev sono secretari, non si può attribuire il ritardo a uno stallo parlamentare (le Camere vengono informate soltanto tramite il Copasir, il comitato che vigila sull’intelligence).

Questo significa che i problemi sono tutti interni alla compagine governativa, come hanno appreso con disappunto anche gli americani che sono rimasti molto seccati dall’apprendere che Matteo Salvini e Silvio Berlusconi continuano a mettere in discussione il sostegno militare a Zelensky. Per questo Meloni è stata prima esclusa e poi aggiunta all’ultimo dal giro di telefonate del presidente americano Joe Biden a fine gennaio.

Il problema gas

Il recente attivismo internazionale di Meloni va tutto in una direzione che mette l’Italia ai margini o fuori dalla coalizione di sostegno agli ucraini. In nome del “piano Mattei” e dell’Italia “hub europeo del gas”, Meloni viaggia in nord Africa con l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi per realizzare una politica energetica tutta nell’interesse del gruppo energetico controllato dal Tesoro.

Questo comporta vari problemi: anche dopo l’annessione illegale della Crimea nel 2014, l’Eni ha sempre lavorato per consolidare i rapporti con la Russia di Vladimir Putin (un errore, come ha denunciato anche l’ex premier Mario Draghi in parlamento) e oggi cerca di salvare le macerie di quella strategia interrotta dalla guerra.

Meloni e Descalzi hanno puntato come nuovo fornitore di gas di riferimento sull’Algeria, che però è uno degli alleati di ferro di Mosca nel Maghreb, anche in terreni delicati come il Sahara occidentale. E se l’Italia sostituisce Putin con gli amici di Putin, questo a Washington non può piacere.  

Puntare ancora sul gas – magari nella speranza che dopo la fine della guerra gasdotti e terminali di rigassificazione consentano di intercettare il surplus di produzione accumulato dalla Russia – impedisce poi all’Italia di aderire alla nuova narrazione geopolitica che vede la transizione ecologica come il pilastro intorno a cui riorientare le politiche di sicurezza. Biden è stato il primo, con l’Inflation reduction act e oltre 400 miliardi di sussidi alle imprese americane per una globalizzazione più verde ma soprattutto con maggiore indipendenza strategica da paesi inaffidabili.

Francia e Germania stanno cercando di guidare una risposta europea in direzione simile, cioè vogliono usare il messaggio verde per far passare misure protezionistiche e assistenziali ai propri campioni nazionali. L’Italia ha troppo debito e troppi interessi nel gas per aggregarsi e così si trova isolata.

Se Meloni è ai margini sull’Ucraina, però, rischia di perdere anche la sponda della Polonia ferocemente anti-russa, governata dal partito alleato del Pis (insieme a Fratelli d’Italia nei Conservatori europei). I polacchi non possono accettare compromessi sulla fermezza nella risposta a Putin. Di questo passo, Giorgia Meloni rischia di rimanere davvero sola.

© Riproduzione riservata