Nel corso dell’ultima conferenza stampa, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha risposto “sì” a una domanda sull’ipotesi di obbligo di vaccino dopo l’autorizzazione definitiva da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema).

La sintetica risposta di Draghi necessita di essere chiarita: la scelta di rimandare l’imposizione di un obbligo è politica, poiché non dipende dalla procedura di approvazione.

La spiegazione dell’Iss

LaPresse

Come si legge sul sito web dall’Istituto Superiore di Sanità, gli studi sui vaccini anti Covid-19 «sono iniziati nella primavera 2020 e in meno di un anno (a dicembre 2020) l’Ema ha raccomandato di concedere la prima autorizzazione all’immissione in commercio condizionata».

Il processo ha avuto «un’accelerazione senza precedenti a livello globale. Eppure nessuna tappa del processo è venuta meno».

Alla velocizzazione hanno concorso diversi fattori, quali «ingenti risorse umane ed economiche messe a disposizione in tempi stretti, conduzione parallela delle varie fasi di valutazione e di studio, produzione del vaccino parallelamente agli studi e al processo di autorizzazione, ottimizzazione della parte burocratica/amministrativa, valutazione da parte delle agenzie regolatorie dei risultati ottenuti, man mano che questi venivano prodotti (rolling review) e non, come generalmente si usa fare, solo dopo il completamento di tutti gli studi».

Le procedure sono state condotte «in base agli stessi standard (norme, procedure e protocolli) utilizzati per autorizzare qualsiasi altro farmaco o vaccino», ma «in tempi e con modalità molto più agili del normale» e, al contempo, mediante una valutazione «completa e approfondita di tutti i requisiti necessari in termini di sicurezza, efficacia e qualità».

Dunque, l’autorizzazione condizionata, qual è quella per il vaccino anti-Covid, «soddisfa i rigorosi standard Ue» ed è «a tutti gli effetti un’autorizzazione formale».

La procedura dell’Ema

Qualsiasi azienda intenda immettere in commercio un vaccino nell'Ue deve prima richiedere un'autorizzazione all’Ema. Successivamente, la Commissione può consentirne la commercializzazione.

Come chiarito sul sito della Commissione, l’iter accelerato effettuato dall’Ema, ai sensi del diritto dell'Ue, si basa soprattutto sulle citate «revisioni cicliche», che permettono all'Agenzia di valutare i dati non appena resi disponibili, cioè «mentre lo sviluppo è ancora in corso». L’esame - «indipendente, approfondito e meticoloso di tutte le prove presentate dallo sviluppatore di vaccini» - «prevede diverse modalità di bilanciamento dei poteri e si basa su un sistEma di valutazioni inter pares con molti esperti coinvolti».

L’autorizzazione condizionata (Cma) «certifica che la sicurezza, l'efficacia e la qualità del vaccino sono comprovate e che i benefici del vaccino sono superiori ai rischi», fermo restando l’obbligo degli sviluppatori di «presentare dati supplementari sul vaccino anche dopo l'autorizzazione» per confermare che il rapporto rischi/benefici rimanga positivo.

Anche la Commissione europea, giuridicamente responsabile dell'immissione in commercio, segue un iter amministrativo quanto più rapido.

L’autorizzazione standard (Sma) «dura in media 67 giorni, di cui 22 per la consultazione degli Stati»; invece, per quella veloce possono bastare «soli 3 giorni».

Se la maggioranza qualificata degli Stati membri è favorevole, il vaccino viene autorizzato e può essere commercializzato in Ue senza bisogno di ulteriori approvazioni nei diversi paesi. Tutti gli Stati membri hanno convenuto «congiuntamente di applicare la procedura di autorizzazione all'immissione in commercio condizionata».

Il monitoraggio post Cma è la «pietra angolare della farmacovigilanza». Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e l’Ema, in collaborazione – tra gli altri - con la Commissione e gli Stati membri, hanno istituito «attività rafforzate di monitoraggio per l'efficacia, la copertura, la sicurezza e l'impatto dei vaccini», al fine di «raccogliere e analizzare i dati sulla vaccinazione forniti dalle autorità pubbliche di tutti gli Stati membri».

Autorizzazione ed emergenza

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Le differenze tra l’autorizzazione condizionata, concessa dall’Ema, e quella emergenziale, rilasciata ad esempio negli Stati Uniti dalla Food and Drugs Administration (Fda), consentono di capire perché un paese dell’Ue possa già imporre un obbligo vaccinale, diversamente dagli Stati Uniti.

Le informazioni si traggono ancora dal sito della Commissione Ue. La Cma rappresenta una vera e propria autorizzazione all’immissione in commercio di un vaccino, del quale garantisce «qualità, sicurezza ed efficacia».

Invece, l'autorizzazione emergenziale «non autorizza un vaccino, bensì l'uso temporaneo di un vaccino non autorizzato»: a differenza di quella condizionata, «il medicinale resta non autorizzato e non può essere immesso sul mercato».

Invece, «la Cma è valida per un anno, con possibilità di rinnovo, e prevede per il suo titolare gli stessi diritti e responsabilità di un'autorizzazione standard».

Anche in Ue la legislazione farmaceutica consente un’autorizzazione per l'uso di emergenza, ma non in modo centralizzato, diversamente dagli Stati Uniti: «l'uso di un vaccino per il quale uno Stato membro abbia rilasciato tale autorizzazione è limitato allo Stato membro in questione e sotto la sua esclusiva responsabilità».

Dunque, per i motivi indicati, negli Stati Uniti è stato necessario attendere un’autorizzazione piena per imporre la vaccinazione ad alcune categorie, mentre nei paesi dell’Ue un obbligo potrebbe essere imposto sin d’ora.

Tant’è che in Italia gli operatori sanitari sono già tenuti a vaccinarsi per lavorare a contatto con il pubblico. Ciò è stato possibile perché l’autorizzazione condizionata dell’Ema garantisce condizioni di sicurezza, come detto.

In forza del dettato costituzionale (art. 32), non sarebbe legittimo assoggettare chicchessia a un trattamento sanitario la cui sicurezza non sia comprovata, nemmeno chi svolge un servizio essenziale qual è quello di cura: l'attività dei sanitari non comporta l'assunzione di maggiori rischi rispetto ad altri lavoratori.

Serve trasparenza

Chiarito che l'autorizzazione condizionata consente l’imposizione di un obbligo vaccinale, senza necessità di attendere quella standard, restano varie domande.

L’obbligo cui pensava Draghi quando ha risposto “sì” riguarda la collettività o singole categorie? Perché si rende necessario questo passo ulteriore rispetto al “green pass” - la cui funzione non è stata finora chiarita come servirebbe - e qual è il fine? È l’immunità di gregge, e a quale percentuale? L’imposizione del vaccino risponde a principi di proporzionalità, necessarietà e adeguatezza, in base a dati scientifici e a comparazione tra misure diverse?

Più di risposte laconiche che, oltre a basarsi su inesattezze, lasciano margini di dubbio, servirebbero spiegazioni trasparenti ed esaustive. È chiedere troppo?

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