Evitiamo le analogie con la Seconda guerra mondiale, portano tutte fuori strada e a conclusioni paradossali, tipo che dovremmo preoccuparci più del riarmo della Germania che della Russia. Il contesto in cui Vladimir Putin commette i suoi crimini di guerra non è quello in cui si muoveva Adolf Hitler.

Dalla Corte penale dell’Aja, che forse un domani processerà Putin, alle Nazioni unite, fino alla Nato, alla Wto e alla stessa Unione europea: questo non è più il mondo degli Stati nazionali che competono tra in universo hobbesiano regolato solo dalla forza.

Putin ha costruito una coreografia di guerra che doveva invece evocare la Seconda guerra mondiale, con i carri armati che marciano contro i nazisti ucraini, e noi, con riflesso stupidamente pavloviano, stiamo reagendo alla sua narrazione invece che costringerlo a stare dentro il mondo del 2022, quello in cui i conflitti non sono tra stati nazionali ma tra aree di integrazione economica e militare, intrecciate dalla globalizzazione delle merci e dei servizi, oltre che della finanza.

Nel mondo contemporaneo la sicurezza non si fonda soltanto su droni e bombe: come evidente, la supremazia militare e nucleare della Nato non ha certo dissuaso la Russia dalla criminale invasione dell’Ucraina.

Nella propaganda di Putin e del Cremlino invece è tutta una questione di missili vicini o lontani, come sostengono tanti amici di Putin italiani (consapevoli o meno) che non si interessavano di geopolitica dalla crisi di Cuba del 1962.

La spesa militare nel mondo è aumentata anche durante il Covid, nel 2020 ha toccato la cifra record di 2.000 miliardi di dollari.

In Italia il bilancio della Difesa è in costante crescita, dai 21,4 miliardi del 2019 ai 26 del 2022. Il Parlamento ha appena approvato un ordine del giorno che chiede al governo di aumentare ancora la spesa militare, fino a 38 miliardi all’anno, per rispettare gli impegni con la Nato.

Ci vuole il coraggio, da parte di politici e intellettuali, di dire che tutto questo non c’entra nulla con l’aggressione della Russia, che bruciare altre decine di miliardi nel falò della Difesa non preparerà la pace, ma  la guerra. Peraltro, lo stesso premier Mario Draghi ha ricordato che la priorità dovrebbe essere l’efficienza della spesa militare a livello europeo, per ridurre duplicazioni e sprechi, non l’aumento in aggregato.

Un composito gruppo di avvoltoi – spesso ben remunerati o comunque con notevoli interessi in gioco – sta usando la tragedia ucraina per una formidabile azione di lobbying che vuole spostare risorse pubbliche dalla transizione ecologica e dalla spesa sociale verso la spesa militare, facendo leva sull’indignazione per le sofferenze ucraine.

Non i pacifisti, ma le persone oneste e di buon senso dovrebbero opporsi a questa cinica speculazione che va a beneficio di pochi e mette a rischio le vite di molti in un futuro non remoto.

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