«Vi è una misura nelle cose, vi sono precisi confini oltre i quali e prima dei quali non può consistere il giusto». Questo insegnamento di Orazio sembra quanto di più lontano dai nostri giorni. Da anni ormai si assiste ad un intorbidamento delle acque, in cui non si riesce più a distinguere una cosa dal suo contrario. Gli ultimi esempi li abbiamo visti in questi mesi scanditi dal conflitto russo-ucraino, dove i fronti polemici si sono composti secondo logiche del tutto prive di uno sguardo d’insieme.

All’evento «pace proibita» organizzato da Michele Santoro è capitato di sentire Moni Ovadia, «ebreo agnostico» come ama definirsi, citare dopo aver «trafficato in rete», la giornalista sudafricana Sara Logan come esempio di giornalismo anglosassone non prono al regime. La stessa Sara Logan allontanata persino dalla Fox TV per le sue tesi cospirazioniste e antisemite.

Allo scoppio di Omicron, Logan si è distinta per aver paragonato l’ormai notissimo Antony Fauci a Mengele, per poi spingersi oltre e definire il darwinismo una teoria giudaica finanziata dai Rothschild, come noto al centro di ogni visione complottista che si rispetti.

Non pago, Ovadia ha poi derubricato a «vecchia storiella» le infami parole del ministro degli Esteri russo Sergey  Lavrov sulle origini ebraiche di Hitler, come non attingessero dalla peggiore propaganda antiebraica di matrice neonazista. Per chi ha udito l’intervento, un effetto straniamento che deve essere stato molto simile a quanto provato dai numerosi fan di Michele Santoro (da tempo molto più che un anchorman televisivo), nel vedere l’evento direttamente dai canali di Byoblu, testata da sempre vicina ad ambienti estremisti ed antisistema.

Si può dire che «Pace proibita» abbia vissuto un fuori palco con l’uscita, quasi in contemporanea, del libro scritto a quattro mani da Luciano Canfora e Francesco Borgonovo dedicato ai rapporti fra guerra russo-ucraina e propaganda, edito per Oaks Editrice, legata all’Associazione Culturale Iduna, il cui catalogo pare gravitare, ideologicamente, in area Casa Pound e dintorni.

Intersezioni inedite

Queste strane intersezioni, e davvero ci siamo limitati alle più recenti, paiono indicare un problema sempre più costitutivo del nostro tempo. Un processo che abbiamo visto affacciarsi in tutte le grandi crisi di questo ventunesimo secolo.

In primis nel dibattito post 11 settembre, dove simboli della cultura europea sono divenuti fonti ispiratrici del pensiero conservatore. Un po’ l’itinerario seguito dalla giornalista Oriana Fallaci, per citare una figura iconica.

Dopo anni di ricomposizione dei fronti, la stessa cosa si è vista con la crisi economica, dove i partiti della destra antisistema si sono erti a difensori delle classi operaie in un miscuglio ideologico che ha messo insieme tutto e il suo contrario: critica alla sinistra, critica all’Unione europea e alle élite, visioni anticapitaliste e antisindacali al tempo stesso. La leader di destra francese Marine Le Pen ad Atene a festeggiare la vittoria della sinistra radicale di Alexis Tsipras mi pare davvero la sintesi più eloquente di questo passaggio.

La pandemia, tra l’altro tutt’altro che passata, è persino troppo recente per non ricordarsi dei contemporanei assalti alle sedi Cgil da parte e di Forza Nuova e degli anarchici (qui, fortunatamente, solo un tentativo stroncato sul nascere).

Per non parlare dei vari Giorgio Agamben e Massimo Cacciari (anche lui dedito a «trafficare sul web») portati in palmo di mano dalla destra parlamentare ed extra.

In questi anni si è molto parlato di polarizzazione sociale, fenomeno divenuto endemico alle nostre democrazie e di cui l’assalto al Campidoglio del gennaio 2021 è stato davvero il punto estremo.

A ben vedere, però, ormai sembra di essere ad un passo successivo. A furia di radicalizzarsi, gli estremi hanno finito per incontrarsi, rendendo irriconoscibili i vecchi steccati ideologici e culturali.

La Bibbia ha una parola per definire questo stato di perdita dell’orientamento: mabul. Termine tradotto con «diluvio», ma che, etimologicamente, rinvia ad uno stato di confusione e perdita dell’orientamento. Forse il termine più adatto per definire quel passaggio dalla crisi alla catastrofe di cui ha parlato il filosofo Roberto Esposito su queste stesse pagine.

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