La decisione di licenziare la maestra che pubblicava le sue immagini su Onlyfans suggerisce implicitamente altre due idee: che commercializzare le proprie immagini sia immorale; e che chi educa non possa compiere atti immorali quando non esercita le sue funzioni. Entrambe le idee sono sbagliate
Contro i donatisti, per i quali la validità dei sacramenti dipende dalla purezza morale del sacerdote, Agostino sostenne che un sacramento rimane valido quale che sia la moralità di chi lo amministra. Chi ha licenziato Elena Maraga perché ha un profilo su Onlyfans (piattaforma che commercializza immagini più o meno osè) inclina pericolosamente al donatismo, in un certo senso.
Secondo i dirigenti dell’asilo di Treviso dove lavorava Maraga una persona che pubblica le sue foto e i suoi video su Onlyfans non può essere una buona educatrice. Questo suggerisce implicitamente altre due idee: che esporre e commercializzare le proprie immagini sia intrinsecamente immorale e che chi educa non possa compiere atti immorali quando non esercita le sue funzioni. Entrambe le idee sono sbagliate.
La commercializzazione delle immagini
La prima è insostenibile: se esporre e commercializzare le proprie immagini fosse immorale, allora la scuola stessa e tutti quelli che sono coinvolti in essa e milioni di altri docenti e migliaia di altre scuole potrebbero stare compiendo scelte immorali.
Infatti, c’è da scommettere che la scuola abbia un sito e che questo sito contenga immagini degli ambienti della scuola, e che lo scopo di tali immagini, dato che si tratta di un asilo paritario (dunque presumibilmente a pagamento), sia di indurre potenziali genitori paganti a preferire quest’istituto ad altri. (E se queste immagini non ce le ha questa scuola, ce le hanno tante altre, anche paritarie, anche cattoliche). Si tratta di immagini esposte a scopo commerciale.
Si può ipotizzare poi che la maggior parte degli impiegati della scuola, dirigenti compresi, abbiano immagini sulla rete o su qualche social. Per quanto non ne percepiscano i proventi, quelle immagini alimentano un circuito commerciale, in cui si vendono i dati e i click. Quindi, anche quelle immagini sono esposte a scopo commerciale. Si può dire che costoro non l’abbiano fatto intenzionalmente, come ha fatto Maraga, e che non percepiscono proventi. E tuttavia avrebbero potuto evitarlo (non aprendo account social, non dando liberatorie) e non evitandolo contribuiscono a un circuito commerciale.
L’immaginario sessuale
Forse, il problema è il fatto che le immagini di Maraga la ritraggono in pose sensuali o ammiccanti. Tuttavia, si può pensare che anche le immagini del sito della scuola siano belle o scelte comunque per essere attraenti. Che cosa le distingue da quelle di Onlyfans? Il fatto che le immagini di Maraga rimandino alla sfera o all’immaginario sessuale? Questo sarebbe contrario all’ispirazione cattolica?
Ciò non significa che non ci sia nulla da discutere nel comportamento di Maraga. Forse però sono altre le cose discutibili. Per esempio, bisognerebbe riflettere sul fatto che questo tipo di immagini e siti diffondano un’immagine stereotipa delle donne e oggettifichino il corpo femminile o che questo tipo di mercato sfrutti l’immaginario e le relazioni di potere che costituiscono il patriarcato.
Non per niente le immagini sono divenute note agli altri genitori e genitrici per opera di un genitore maschio, che alla piattaforma Onlyfans era iscritto e ha diffuso le immagini di Maraga. Curiosamente, nulla si dice su questo comportamento. Guardare immagini di donne su siti che le pubblicizzano è compatibile col ruolo di genitore, ancorché maschio?
Esporre queste immagini all’insaputa di Maraga è commendevole e compatibile con l’ispirazione cattolica della scuola e della famiglia che decide di iscrivere i propri figli e figlie a questa scuola? Siamo sicuri che tutto questo sia differente da un caso di revenge porn?
La libertà di condotta
La seconda idea suggerita dal licenziamento è che il comportamento degli educatori debba essere moralmente irreprensibile. Anche ammettendo che pubblicare le proprie immagini sia moralmente dubbio (lo è solo in quanto nutre e perpetua il patriarcato, come già detto), bisogna capire quali sono i limiti di quel che si può richiedere agli educatori nella loro vita privata. Facciamo un esempio.
Immaginiamo che si trattasse di una scuola di ispirazione islamica o valdese. E che una educatrice della scuola, che non avesse compiuto nessun atto contrario all’ispirazione della scuola nell’esercizio delle sue funzioni, avesse trasgredito in privato a un qualche dettame del Corano o della religiosità valdese. E mettiamo che, per questo comportamento, fosse stata licenziata.
Ipotizziamo, per esempio, che questa educatrice avesse, nel corso di una discussione privata, manifestato qualche dubbio su una norma di moralità coranica o evangelica, esprimendo le sue idee, e che queste sue affermazioni fossero poi state riportate all’esterno. Che penseremmo se a questo fosse seguito un licenziamento per giusta causa?
Può una scuola che, ancorché di ispirazione cattolica, è soggetta alle leggi e alla Costituzione del nostro paese pretendere che i suoi impiegati pongano limiti ai propri diritti di libera espressione del pensiero e di libera condotta privata?
A nessun funzionario pubblico viene richiesta la trasparenza completa e l’assoggettamento totale a una presunta moralità dell’istituzione. Almeno non in uno Stato laico liberal-democratico. Se le scuole paritarie religiose si pongono al di fuori dello Stato, e al di sopra della sua Costituzione, allora si tratta di realtà eversive, non di istituzioni educative legittime.
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