Sulla manovra il governo ci prende in giro, ma l’opposizione ci casca

La prima repubblica aveva due “stagioni”, le nomine a primavera e la legge finanziaria in autunno. Un conto è nominare un competente anche amico, un altro nominare amici incapaci; lo fa spesso la destra, estrema perché fieramente antirepubblicana. I fortunati faranno quanto richiesto per non tornare nel nulla da cui vengono. Le poche eccezioni confermano la regola. Non si parla più dell’intera legge finanziaria, solo della “manovra”; la studia il governo, il parlamento alla fine dirà solo sì, è il premierato de noantri. La manovra, come un’auto stretta nel parcheggio, si sposta di pochi centimetri, dà là un mini-bonus, qua un taglietto all’Irpef; mance senza un’idea di futuro, l’azione sostituisce il pensiero. Pax meloniana sulla manovra, Tajani sconfitto sulle banche Il governo lega assieme ceti uniti dalla tenace avversione al progresso. Si loda il governo Meloni che non scassa i conti pubblici, ma dopo le prime, caotiche settimane del Conte 1, solo dei pazzi potevano riprovarci. La mente è Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia, un brav fioeu per dirlo alla lombarda, plasticamente impari (accento sdrucciolo) al ruolo; sperare come lui nei miracoli non è un programma. Crescita cercasi «La crescita italiana degli ultimi anni è dovuta quasi interamente al Pnrr», scrive Marco Leonardi sul Foglio. Aggiunge che la contabilità smisterà 10 miliardi dal Pnrr ad altre spese, anche già fatte; se non li spendiamo in tempo, non è meglio rinunciarvi? Così usiamo 10 miliardi del piano per tappare i buchi della manovra, magari per la “pace fiscale”, cancellando altrettanta crescita possibile. Se l’auto non esce dal buco ci si avvita in basso, come un’impresa che, per uscire dalla crisi, sa solo tagliare costi e rami secchi, fino a quello su cui siede. Il governo non affronta il nodo della produttività e c’inchioda su prodotti e servizi di bassa qualità. Sparita la grande impresa, troppo poche investono e competono nel mondo. Anziché aiutarle la manovra di Meloni riduce le poche risorse loro destinate. Il governo è come il management di un’azienda privo di piani sensati; se anche ne avesse, gli azionisti li boccerebbero. Tassisti e balneari sono l’icona dell’Italia codina e immobile. Prima lo staff, poi la sanità: altri consulenti per Schillaci Francesco Tundo ha qui riassunto lo stato dell’imposta sui redditi; grava quasi solo su dipendenti e pensionati, è iniqua assoggettando redditi uguali a imposte diversissime. Così è la flat tax per gli autonomi, al 15 per cento fino a 85 mila euro, bandiera del governo. Spinge al lavoro nero per restare sotto soglia; il concordato biennale gli consente di continuare a pagare solo una frazione del dovuto, un terzo per il Mef. Premia l’inefficienza, scoraggia la crescita delle piccole, che impiegano gran parte dei tre o più milioni di persone prive di contratti collettivi; Meloni, grata a chi la vota, respinge il salario minimo che invece allevierebbe il problema. Illusione ottica I conti reggono grazie al furto del fiscal drag; mentre i loro redditi reali calano del 9 per cento in pochi anni, i “soliti fessi” pagano imposte più alte. Per placarli Meloni gli lancia brandelli di carne, riducendo del 2 per cento l’aliquota Irpef del 35 per cento fino a 50 mila euro; un decimo della perdita reale, stima Leonardi. Il governo promette salari più alti, ma i contratti si rinnovano solo a chi conviene L’opposizione cade nell’agenda imposta dal governo; resta astratta, rinuncia ai contributi di chi saprebbe impostare e spiegare una strategia realistica per tirar fuori l’Italia dalla palude, attraendo chi oggi s’astiene e dando risposte concrete alle balle del governo. Stando fermi tutto si tiene; imprese piccole, fisco iniquo e inefficace, investimenti scarsi, capitale che si deprezza, resta ferma la produttività. Questa stabilità è un’illusione ottica, a mezzanotte la carrozza del Pnrr, che Meloni&C. non vollero, tornerà zucca, tutti a piedi. La destra spera che ci pensi la Bce; se servisse anche alla Francia, i falchi saranno forse meno grifagni? Il governo chiede a banche e assicurazioni 11 miliardi per tappare i buchi; sono palliativi, domani è un altro giorno e si vedrà. Se la ridono le utility pubbliche che l’inflazione ingrassa; e l’azionista governo incassa in silenzio.