Su Domani del 29 dicembre Gianfranco Pasquino vede ipocrisia nella professione di fede del presidente del Consiglio Mario Draghi nella democrazia parlamentare; la loda perché non lo intralcia, dice Pasquino, che si tira fuori dal coro dei «commentatori dei giornaloni e giornalini», invitando i partiti a chiedere «più potere e visibilità...dimostrando che anche noi sappiamo scegliere e decidere».

Che tanti si spertichino in omaggi non richiesti, è vero, ma il coro non è colpa del premier; la sua esperienza gli fornisce potenti antidoti contro il veleno dell’adulazione che, creando attese smodate, prima o poi gli si rivolterà contro. È la crisi dei partiti a spingere Draghi a ripetere tali omaggi, anche per “valorizzarne” il ruolo e condividere, con gli onori, gli oneri.

Le forze parlamentari che sostengono Draghi non erano fisicamente minacciate; fra scadenze del Next Generation Eu e pandemia, era la migliore soluzione, la sosterranno finché lo sarà. Anche il governo Draghi abusa di decreti, scrive Pasquino, anche quest’anno i negoziati sulla legge di bilancio hanno dato spettacoli indegni; Giovanna Faggionato qui e Chiara Saraceno su Repubblica ne sottolineano gli effetti di redistribuzione regressivi. Tenere assieme la barca è arduo, nonostante le troppe lodi; fortunatamente, nessuno ha i superpoteri per emendare la nostra democrazia da quei vizi.

I partiti in Europa

Portugal\'s Prime Minister Antonio Costa, European Parliament President David Sassoli and European Commission President Ursula von der Leyen, center from left, and European lawmakers stand up during the signing ceremony to officially launch the Conference of the Future of Europe at the European Parliament in Brussels, Wednesday, March 10, 2021. (AP Photo/Francisco Seco)

Le scelte spettanti ai partiti urgono, specie per i negoziati sul nuovo patto di stabilità e crescita (Psc), destinato a sostituire il precedente, sospeso per pandemia. Se non si arriva a un accordo, torna in vigore il precedente, dannoso Psc. Utili sono le proposte per collocare nel meccanismo europeo di stabilità (Mes) o in un’istituenda agenzia europea per la gestione del debiti i 700 miliardi di titoli detenuti dal sistema europeo delle banche centrali, come quelle di Francesco Giavazzi ed altri e, su Domani, di Franco Bruni e Stefano Micossi.

Molti partiti non percepiscono la rilevanza del tema, e il ruolo che vi potrà avere Draghi, appena mossosi insieme al presidente francese Emmanuel Macron. È importante che questi, sia pur sotto elezioni, getti il proprio peso dalla parte dell’Italia, così rompendo l’asse preferenziale con Berlino.

I partiti parlamentari devono, prima scegliere il presidente della Repubblica, poi se votare la fiducia alla persona cui darà l’incarico; come ha scritto qui Piero Ignazi il 23 dicembre, la loro reazione alle parole di Draghi in conferenza stampa potrebbe privarci del suo apporto in ambedue le posizioni. 

Stessa spiaggia, stesso mare

Dalle stelle dell’Europa alle spiagge: Draghi si faccia valere nella questione delle concessioni balneari, prorogate dal Conte I al 2033, ma che la Ue e di recente il consiglio di stato obbligano a far scadere fra due anni. Esse andranno assegnate in gara, ponendo fine a uno scandalo che frutta solo cento milioni l’anno su 7mila km di coste.

Subito è partita la reazione dei balneari, rivolta ai ministri di Lega (Sviluppo economico e Turismo) e Forza Italia (Affari regionali), loro propizi. Questi si sono incautamente impegnati a «soluzioni condivise (per) tutelare le imprese, gli investimenti fatti negli anni spesso da aziende di carattere familiare e l’occupazione». È netto il contrasto con le norme Ue, con la recente sentenza e soprattutto col pubblico interesse.

Sarebbe dura la reazione della Ue se Draghi, ascoltando i suoi pieghevoli ministri, cedesse ai bottegai balneari. Batta dunque un colpo; contiamo che i partiti sappiano «scegliere e decidere», come giustamente chiede Pasquino, ma bene.

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