Meloni ancora forte e solida. Ma al paese non lascerà nulla

Stabilità e solidità, ma senza eredità. È questa la formula migliore per riassumere i tre anni del governo Meloni. A livello internazionale Giorgia Meloni ha ottenuto le sue vittorie più importanti. Dapprima ha sconfitto i pregiudizi e superato lo stigma dell’essere considerata una leader della destra radicale, poi ha mostrato continuità sulle politiche europee (Pnrr), prudenza nella gestione del bilancio, un prolungato sostengo all’Ucraina, pragmatismo sull’immigrazione. In virtù di queste scelte ha costruito un eccellente rapporto con Ursula von der Leyen e rafforzato, soprattutto dopo le elezioni europee del 2024, la sua posizione in Europa. Tre anni fa la posizione della premier sull’immigrazione era annoverata tra gli estremismi, oggi è la posizione mainstream, accettata a destra e sinistra, di tutti i governi europei. Quando, dopo le ultime elezioni europee, Olaf Scholz ed Emmanuel Macron hanno cercato di fare muro sulle nomine apicali europee, Meloni ha costruito con pazienza la sua definitiva affermazione superando il blocco. La necessità della seconda Commissione von der Leyen di poter contare su una stampella conservatrice ha permesso al governo italiano di nominare Raffaele Fitto alla vicepresidenza, unico esponente della ECR nel compagine di governo europea. Schlein al Pse: «La libertà è a rischio quando governa la destra». Meloni: «Siamo al puro delirio» Il rapporto con gli Usa Tra i punti di forza del governo c’è anche il rapporto con gli Stati Uniti. Dapprima ottimo con l’amministrazione Biden sia per il sostegno alla difesa dell’Ucraina sia per politiche di deterrenza economica verso la Cina, con il mancato rinnovo del memorandum sulla Via della Seta che è stato firmato dal governo Conte I nel 2019. Ancora migliore il rapporto con Donald Trump, che considera Meloni un alleato politico oltre che strategico. Qui il rapporto va oltre la relazione diplomatica, con la premier italiana da un lato disponibile ad accettare il nuovo ordine americano su dazi e difesa e dall’altro assecondando Trump nella sua idea di dover trattare da solo con Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. La prudenza rispetto alla coalizione dei volenterosi è figlia di un dato di realismo rispetto al fronte domestico, con la maggioranza degli italiani sfavorevole all’eventuale invio di soldati dopo la pace, ma anche un segnale a Trump di voler aspettare un passo indietro rispetto all’iniziativa americana. Meloni presidente “cortigiano”: l’errore di Landini è stato non adeguarsi al maschile governativo Svolta a destra In questo contesto Meloni è stata avvantaggiata da una politica internazionale che si è mossa verso destra, venendo incontro alle sue posizioni, e segnata dal declino dei suoi avversari politici come liberali e social-democratici europei. La presidente del Consiglio è stata però anche capace di tenere a bada Matteo Salvini, soprattutto sul fronte della politica europea e internazionale, privandolo degli strumenti per incidere in questo ambito. Sorprendentemente, grazie anche all’influenza “moderata” di Forza Italia sulla coalizione, il governo ha abbandonato gran parte delle sue politiche identitarie. Al contrario di quanti temevano, nessun diritto o libertà civile ha subito restrizioni. La retorica sul conservatorismo e sulla famiglia si sono rivelate più decorative che reali. Le stesse riforme istituzionali sono state depotenziate: l’autonomia regionale è stata approvata, ma è una scatola vuota per mancanza di risorse, la riforma del premierato giace ferma in parlamento e chissà se mai completerà il suo iter, la riforma della magistratura va incontro a un referendum dall’esito incerto per il governo. Seguendo il rasoio di Occam, Meloni ha eliminato tutto ciò che potesse produrre divisioni nella coalizione o sconfitte elettorali o frizioni insanabili con la presidenza della Repubblica. Tutti contro Meloni. In Veneto e Campania è una sfida tra alleati E il futuro? Anche sul piano economico è andata allo stesso modo. Controllo del deficit, spread ribassato, piccoli cambiamenti. Le scelte più importanti e positive il governo le ha fatte per sottrazione, cioè abrogando politiche dei governi precedenti, come nel caso del reddito di cittadinanza e del Superbonus 110 per cento. Tuttavia, ciò che manca ancora all’esecutivo è una politica forte, una scelta fondamentale con cui cesellare la propria eredità. Non c’è dopo tre anni, e non si vede all’orizzonte, una riforma capace di segnare la storia del paese. Non una grande riformulazione del welfare, non un drastico taglio delle tasse, non politiche per stimolare l’innovazione industriale. È vero che l’elettorato della destra non è riformista, non chiede grandi cambiamenti, né ideologico e si accontenta dell’anti-progressismo di Meloni ma il futuro della nazione meriterebbe più attenzione. Il governo non ha più nulla di radicale e di euroscettico, la coalizione è ancora forte nei sondaggi e nelle elezioni locali, le prospettive sono quelle di un esecutivo di legislatura. Tutto è tremendamente normale rispetto alle precedenti legislature. Stabilità e solidità appunto, ritrovate dopo tanti travagli del sistema politico, ma per quali scelte fondamentali ricorderemo questa legislatura? Il governo Meloni porta il paese al collasso: oltre 5,7 milioni di persone in povertà assoluta nel 2024