Mondo Maga vs Israele, tra deliri digitali e complottismi mistici

«La nostra politica estera è dettata da Israele. Trump continuerà a fare quello che gli dice Netanyahu. Se volete sapere cosa farà l'America, risparmiatevi le false conferenze stampa della Casa Bianca e iniziate ad ascoltare Bibi. Siamo una colonia di Israele. I vostri politici sono comprati e pagati». Quando Candace Owens scriveva queste parole sul suo account X lo scorso giugno non sono stati in molti a prestare attenzione. Eppure l’idea della “cattura” degli Stati Uniti da parte d’Israele continua a diffondersi nel mondo conservatore statunitense. Il consenso, quasi monolitico, sul robusto internazionalismo e sulla “relazione speciale” con Israele sembrava inscalfibile. In questa lettura, oltre ai motivi morali e ideologici, Israele rappresentava una piattaforma in Medio Oriente utile in una regione ad alta volatilità per cui era necessario un impegno economico e militare. La crudeltà passa attraverso le parole e l’aria compiaciuta di Trump e Bibi Oggi quel consenso appare essere meno granitico anche a seguito delle critiche interne allo stesso mondo conservatore. Figure mediatiche di grande influenza come Tucker Carlson, Candace Owens o Nick Fuentes hanno ripetutamente attaccato gli stessi presupposti della “relazione speciale” con Israele dipingendo lo Stato ebraico non come un alleato strategico, ma come un attore straniero che manipola gli Stati Uniti per perseguire i suoi interessi. Si tratta di un approccio e di idee non nuove, ma pienamente inquadrabili nella corrente statunitense del paleoconservatorismo che privilegia il non-interventismo nel nome della declinazione di una nozione di sovranità profondamente nazionalista. Oggi queste idee intrecciano la mutazione demografica e generazionale della base conservatrice che segnala un potenziale riallineamento a lungo termine. Lo scontro su Israele non deve essere dunque inteso solo come un fenomeno di breve periodo alimentato dagli eventi degli ultimi anni, ma come una vera e propria battaglia per l’anima del mondo conservatore. Il colonialismo imperiale degli Stati Uniti trumpiani Da una parte un approccio che cala il realismo tipico di quel mondo nell’interazione con le istituzioni e i partner internazionali, dall’altro un approccio nazionalista. Da questo scontro potrebbe risultare la nuova postura degli Stati Uniti nel mondo. La richiesta di recidere la “relazione speciale” con Israele è sempre più forte e argomentata mediante il ricorso agli stilemi tipici della destra nazionalista e complottista che abbiamo imparato a conoscere in questi anni: Jeffrey Epstein sarebbe in realtà un agente del Mossad utilizzato per ricattare i politici degli altri Stati, i servizi di sicurezza israeliani sarebbero stati a conoscenza in anticipo degli attentati dell’11 settembre, addirittura l’omicidio di Charlie Kirk sarebbe stato voluto da Israele perché Kirk, nei suoi ultimi mesi di vita, avrebbe mostrato di non gradire le politiche israeliane. Da Kirk a Trump, negazionismo ambientale e odio per l’opposizione: l’ascesa dell’ecofascismo Negli anni Novanta Pat Buchanan descrisse una Capitol Hill “occupata” da Israele. Oggi Nick parla di un Donald Trump che si sarebbe fatto «comprare» dalla «lobby ebraica». Anche questo un argomento che ritorna, stimolato anche dal sedimentarsi di contributi di accademici (ormai quasi ventennali) come quelli Mearsheimer e Walt, secondo cui Israele eserciterebbe una spropositata influenza sulla politica estera statunitense a scapito degli effetti interessi nazionali americani. Non sono più gli anni di Buchanan, ma il paleoconservatorismo di oggi ritorna in una versione digitale e votata alla viralità che può produrre esiti non controllabili che sconfinano, come dimostra la cronaca degli ultimi giorni relativa alle chat dei giovani repubblicani, in pericolosi estremismi. Il colonialismo imperiale degli Stati Uniti trumpiani La sfida per le democrazie liberali sarà quella di contenere entro i limiti della legalità le critiche permesse dal diritto alla libertà d’espressione (da difendere) evitando che questa travalichi i limiti imposti dalle norme vigenti. Per Israele gli sviluppi recenti possono anche significare una necessaria rivalutazione di quel sostegno statunitense che si credeva essere un assegno in bianco e che invece sembra evolvere verso una partnership forse più pragmatica, ma anche più precaria. Le tendenze ideologiche e demografiche che alimentano un discorso fortemente critico sono in accelerazione e anche il discorso teologico del sionismo cristiano appare essere sempre più sotto attacco con il passaggio generazionale. Le recenti classifiche dei podcast più ascoltati su Spotify dove furoreggiano i contributi di Tucker Carlon, Candace Owens e Nick Fuentes sembrano volerci suggerire la necessità di prestare attenzione a quanto va accadendo.