Il presidente si è sempre mosso sul limite che separa il lecito dall’illecito. Ora, tra le operazioni estremamente spregiudicate sulle cripto e i guadagni milionari messi a segno sull’onda del lancio dei dazi, l’intreccio ha raggiunto livelli inimmaginabili
Corruzione e autoritarismo, cleptocrazia e autocrazia, sono spesso inestricabilmente intrecciate. Le derive autoritarie si espletano anche attraverso l’eliminazione, o il drastico depotenziamento, degli organismi di controllo e regolamentazione: di tutti quei diaframmi che si frappongono a un rapporto diretto tra il vertice autocratico e il popolo indistinto.
Una regola generale, questa, ancor più visibile nell’America di Donald Trump. La democrazia statunitense è forse più permeabile di altre a influenze corruttive, con le sue porte che in teoria dividono il pubblico dal privato girevoli e sempre in movimento.
E con un attore, l’attuale presidente, che si è mosso sempre sul limite che separa il lecito dall’illecito. La cui storia imprenditoriale è stata scandita da numerose bancarotte e frequenti sanzioni. E che una volta divenuto soggetto politico ha trasferito l’opacità del suo agire, e i suoi inevitabili conflitti d’interesse, anche alla sfera pubblica. Con la sua poca o nulla attenzione al rispetto della legge e della Costituzione. E con il tentativo, tutt’altro che occultato, di capitalizzare economicamente su questa sua esperienza politica.
Nella prima amministrazione Trump ne abbiamo avuto un assaggio, con i gadget, i dignitari stranieri che risiedevano nelle residenze del presidente, la figlia Ivanka che nonostante gli scontri con Pechino otteneva procedure privilegiate per la registrazione di numerosi marchi commerciali in Cina, il genero Jared Kushner che appena terminato il suo mandato di consigliere speciale per il Medio Oriente creava un suo equity di circa due miliardi di dollari finanziato quasi interamente dal fondo sovrano saudita.
Anche su questo stiamo però assistendo a un ulteriore salto di qualità. Tre giorni prima dell’insediamento, Trump e la moglie Melania hanno lanciato le loro criptovalute meme guadagnando in poco tempo decine di milioni di dollari. In parallelo, i figli di Trump – Don Jr., Eric e Barron – assieme ad altri investitori, incluso il figlio dell’inviato speciale in Medio Oriente, Steve Witkoff, hanno formalmente rilevato la piattaforma di criptovalute “World Liberty Financial” (Wlf), che il presidente aveva creato poche settimane prima del voto.
Wlf investe in criptovalute in un momento in cui l’amministrazione ha deciso di smantellare l’apparato regolamentatore che Biden aveva cercato d’introdurre; e lo fa contestualmente al tentativo di creare una riserva federale di criptovalute che includerebbe anche alcune di quelle acquisite da Wlf.
Il tutto in un contesto in cui sono nominate alla guida di fondamentali agenzie federali di controllo figure simpatetiche al mondo delle cripto, e il Congresso è prossimo a discutere leggi da cui Wlf potrebbero trarre immensi vantaggi. E con soggetti stranieri, prima in ordine di tempo un gruppo con base ad Abu Dhabi, che annunciano pesanti investimenti su Wlf.
Secondo alcune stime recenti, grazie alle cripto il patrimonio della famiglia Trump sarebbe cresciuto in poco tempo di quasi tre miliardi di dollari. Nel mentre, su scala ovviamente ben più piccola, altre figure del mondo Maga sembrano riuscire a trarre profitto da questa seconda esperienza presidenziale di Trump, come nel caso dell’aggiotaggio permesso dal congelamento dei dazi annunciati il 2 aprile scorso (diversi membri repubblicani del Congresso furono particolarmente attivi in quelle ore nel comprare e vendere azioni di Apple, Amazon, Nike e altri gruppi potenzialmente penalizzati dai dazi). La patente torsione autocratica s’intreccia insomma con quella cleptocratica.
Permesse, entrambe, da un’evidente sofferenza e fragilità della democrazia Usa alle quali hanno contribuito anche i democratici – i conflitti d’interesse del segretario della Difesa di Biden, Lloyd Austin, sono lì a indicarcelo – ma che con Trump stanno raggiungendo livelli nuovi e semplicemente inimmaginabili. E dove non può non allarmare la rapida assuefazione a qualcosa che, in democrazia, normale non può né deve essere.
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