La storia di Alessandra Casilli, supplente in un liceo di Fara in Sabina morta in un incidente stradale mentre tornava dalla prova orale del concorso a Campobasso, torna a far luce su un sistema che, per far risparmiare le casse pubbliche, precarizza la vita di chi sogna un lavoro a scuola tra enormi sacrifici, trasferte e orari improbabili. Se il ministro Valditara sceglierà di non rispondere alla lettera delle colleghe e colleghi di Alessandra, avrà perso l’ennesima occasione per offrire a migliaia di precarie e precari un segno di attenzione e consapevolezza del loro dramma
Si chiamava Alessandra Casilli, era un’insegnante. Precaria. L’anno scolastico appena concluso l’aveva trascorso come supplente al liceo Rocci di Fara in Sabina. Si era spesa con tutta la sua professionalità proseguendo, assieme alle ore di lezione, il suo percorso di studio e aggiornamento in vista del concorso che avrebbe potuto offrirle una stabilità mai avuta. Infine, al concorso ci è andata, a Campobasso per la precisione, dove ha sostenuto la prova orale per la classe A040, Scienze e tecnologie elettriche ed elettroniche.
La sera l’aspettavano i suoi ragazzi per la cena di fine anno, ma non è mai arrivata perché guidando ha invaso la corsia opposta e tutto è finito lì. A un dolore senza respiro, le docenti e i docenti del liceo Rocci hanno reagito anche con una lettera.
Un testo sincero e profondo per le verità che descrive. L’hanno indirizzato al ministro Giuseppe Valditara e leggerlo aiuta a cogliere intera l’angoscia per una vita spenta e per le condizioni immorali che quell’esistenza hanno segnato troppo a lungo.
La giungla dei concorsi
«Certe nostre condizioni lavorative, se anche non sono direttamente la causa della morte di Alessandra, sicuramente hanno contribuito a precarizzarne la vita», così hanno scritto. E appare come un dato della realtà, oggettivo quanto ingiusto.
Concorsi lontani da dove si abita o si lavora perché c’è da risparmiare sulle casse pubbliche. Quel risparmio che a precari in cerca di sbocco viene negato tra spese di trasferta, alloggio, libri, computer. Una notte insonne a preparare il modello di lezione su cui si verrà giudicati, magari dopo anni, a volte molti anni, durante i quali l’esame quotidiano è vissuto nel rapporto didattico e umano con centinaia di ragazze e ragazzi. Anni di sacrifici, trasferte, orari improbabili per non dire impossibili, e sempre col solo obiettivo di essere all’ora d’ingresso dentro una classe «con la lezione pronta, i compiti corretti».
Cos’è tutto questo per lo Stato? Per la politica? Un costo? Un salasso? O, piuttosto, non dovrebbe rappresentare la chiave d’accesso al futuro di un paese che continua a cullarsi in sacche d’arretratezza svilendo la funzione sociale, e il rispetto che dovrebbe derivarne, di professionalità preziose e sistematicamente mortificate nella loro dignità di persone?
Il valore strategico della scuola
Poche altre nazioni hanno visto nel corso della loro storia così tante figure prestigiose di intellettuali, delle più diverse specie, dedicare parte rilevante del loro impegno di studiosi alla cura e consolidamento dell’istituzione scolastica. Da De Sanctis a Croce e Gentile, e Lucio Lombardo Radice, Tullio De Mauro, Bice Chiaromonte, Luciana Pecchioli, in un elenco che potrebbe facilmente allungarsi.
Non è accaduto per caso. È stato il frutto della consapevolezza che una unificazione tardiva dello stato imponeva all’universo della cultura, non solo umanistica, di attrezzare la nuova dimensione del tessuto connettivo che avrebbe potuto e dovuto rafforzare un senso di comunità. Si può replicare che questo riguardava un passato remoto, e anche su questo vi sarebbe da discutere. Ma stando all’oggi, alla nostra contemporaneità e alle risorse che una didattica avanzata può contribuire a creare, quale miopia, quale sguardo spento, può ignorare il valore strategico di una scuola pubblica supportata da docenti finalmente riconosciuti nella loro professionalità e in quella dignità di donne e uomini consapevoli della missione scelta?
Non so se il ministro dell’Istruzione e del merito sceglierà di rispondere alla lettera delle colleghe e colleghi di Alessandra. Se non lo farà avrà perso l’occasione, l’ennesima, per offrire a migliaia di precarie e precari un segno di attenzione e consapevolezza del loro dramma.
Se lo farà sarà giusto che quelle donne e uomini, assieme al Parlamento, giudichino non già e solo le sue parole, ma la coerenza di azioni, misure e risorse che fin qui sono drammaticamente mancate. Lo si deve a chi continua a lottare per una scuola pubblica di qualità e insegnanti riconosciuti nel loro ruolo. Lo si deve ad Alessandra Casilli. Alla professoressa Alessandra Casilli.
© Riproduzione riservata