Siamo forse in presenza del più grande terremoto geopolitico dalla fine della Seconda guerra mondiale. La forma dubitativa è d’obbligo considerata l’inaffidabilità dei due maggiori protagonisti di questo terremoto: Trump e Putin.

Le uscite, per ora solo minacciate, dalla Nato, dall’Onu e da altre organizzazioni internazionali, porterebbero a situazioni pericolose, soprattutto per l’Europa. In particolare l’uscita degli Stati Uniti dalla Nato porrebbe il serio problema della difesa europea, problema affrontato la settimana scorsa in modo completamente sbagliato dalla presidente Ursula von der Leyen.

Come ha ricordato il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa che ha avuto ruoli anche in ambito Nato, prima si dovrebbero armonizzare i sistemi d’arma dei principali paesi europei dotandoli delle tecnologie attualmente possedute solo dalle forze armate americane e definire un sistema di comando e controllo efficace, che potrebbe anche essere quello della stessa Nato.

L’eventuale uscita degli Usa dall’Alleanza atlantica pone anche il problema delle numerose basi americane in Europa e colpirebbe pesantemente l’Italia che ospita le basi di Aviano (Pordenone), Vicenza, Sigonella (Catania), Napoli, Como, Camp Darby (Pisa) e Ghedi (Brescia), nelle quali lavorano 4.300 italiani assunti sulla base della legge italiana mentre il datore di lavoro sono gli Usa.

In queste basi ci sono anche 16mila militari statunitensi che diventano 40mila con i familiari al seguito. La paura della chiusura delle basi italiane si è diffusa quando, due settimane fa, il dipartimento guidato da Elon Musk ha chiesto con una mail a ogni dipendente delle basi italiane un rapporto settimanale indicando i cinque principali risultati ottenuti con il loro lavoro. A questo si è aggiunta la sospensione delle carte di credito.

Queste basi sono molto importanti per l’economia del territorio circostante creando un indotto di circa un miliardo di euro l’anno. I sindaci delle città dove si trovano queste basi hanno chiesto spiegazioni alla Commissione statunitense congiunta di aviazione esercito e marina ottenendo per ora vaghe rassicurazioni verbali.

Questo fatto, unito a una comunicazione del Pentagono di spostare dalla Germania all’Ungheria 30mila militari americani, ha fatto sorgere il dubbio che gli Usa vogliano realmente uscire dalla Nato ridimensionando o chiudendo tutte le loro basi in Europa. Una ragione semplice potrebbe essere quella di una spending review anche per le spese militari, considerando l’alto debito pubblico americano. L’altra ragione più preoccupante è l’uscita dalla Nato e la conseguente chiusura delle basi europee.

Alcune fonti militari italiane hanno ipotizzato che alla fine le basi saranno mantenute, seppure con la riduzione del personale civile e militare. Una delle ragioni è che in queste basi sono custodite alcune testate nucleari, l’altra ragione è che non solo permettono un rapido intervento in teatri di crisi come sta avvenendo in questi giorni nello Yemen, ma servono anche a monitorare eventi economici e finanziari che interessano l’economia americana.

Poiché secondo Trump l’Europa è responsabile delle due guerre mondiali, guerre che hanno richiesto l’intervento degli Stati Uniti, andrebbero ricordati due fatti. Il primo riguarda il nuovo ordine mondiale stabilito da Roosevelt, Churchill e Stalin a Yalta nel 1945. Nell’ottica di Roosevelt e Churchill la nuova geografia europea doveva servire ad arginare la diffusione del comunismo che ossessionava soprattutto gli americani. La Nato fu costituita nel 1949 perché gli Usa volevano assicurarsi una presenza militare nello scacchiere europeo in chiave antirussa.

Il secondo fatto riguarda il Piano Marshall lanciato nel 1947, che prevedeva aiuti ai paesi dell’Europa occidentale sotto forma di prodotti finiti e attraverso prestiti il cui impiego doveva essere approvato dal governo americano. Molto spesso questi investimenti si tradussero in acquisti di prodotti americani. Il piano servì agli Usa per creare una barriera politica ed economica verso i sovietici. Forse un’attenta lettura della storia eviterebbe dissennati annunci roboanti come l’acquisizione della Groenlandia e del Canada e permetterebbe di riconoscere il sostanziale contributo europeo allo sviluppo americano e al mantenimento della pace.

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