Quando hanno organizzato il Climate Social Camp e il meeting europeo di Fridays for Future, gli attivisti per il clima non si aspettavano di trovarsi con un governo dimissionario e a due soli mesi dalle elezioni.

I due eventi partono lunedì 24 luglio a Torino, tra Parco della Colletta e Campus Luigi Einaudi, e ne faranno per cinque giorni la capitale della rabbia climatica, con incontri, conferenze, workshop, manifestazioni.

Arriveranno migliaia di attivisti da tutto il mondo e tra loro ci saranno Greta Thunberg e Andreas Malm, l'ecologo svedese diventato ideologo dell'opposizione dura e violenta all'infrastruttura fossile.

Il campeggio climatico e l'incontro europeo dei Fridays erano stati pensati per offrire una prospettiva globale all'azione per il clima, ma la realtà politica italiana si è dimostrata troppo inquieta e imprevedibile anche per loro.

Volevano preparasi a un autunno di lotta, si trovano davanti un'estate di campagna elettorale, un settembre alle urne e un ottobre di consultazioni.

Il prossimo sciopero globale per il clima sarà il 23 settembre, il venerdì prima delle elezioni, i Fridays for Future dovranno contendersi le piazze con gli ultimi comizi dei leader, e allora il senso del doppio incontro torinese è anche lanciare la volata al difficilissimo tentativo di fare in Italia qualcosa di simile a quanto visto in Australia a maggio: le prime elezioni climatiche nella storia del paese.

Le ragioni del clima

Come spiega Luca Sardo, portavoce nazionale Fridays for Future, il pensiero originario dietro questo evento era raccogliere le ragioni del clima in una sola voce pubblica, almeno su base europea.

«Ci saranno Extinction Rebellion, Greenpeace, Ende Gelände e tante altre realtà. In questi anni il nostro è stato un mondo politico frammentato, tanti scioperi, tante manifestazioni.

Ora abbiamo bisogno di rendere questo flusso più coerente, perché è arrivato il movimento di avere un impatto».

La storia degli ultimi cinque anni, dal 2018 della prima sollevazione a Londra di Extinction Rebellion e del primo sciopero di Greta Thunberg a Stoccolma, è stata quella di vittorie culturali che hanno fatto fatica a tradursi in vittorie politiche.

Nel frattempo ci sono state la pandemia, che ha disperso l'energia dei milioni di giovani in piazza nel 2019, e una guerra, che ha cambiato completamente l'ordine di priorità tra energia e clima. Nel frattempo però si è anche aggravata la crisi climatica.

Come spiega Giovanni Mori, ex portavoce e ancora una delle persone più in vista del movimento, «Questa è stata l'estate dell'ecoansia, più che arrabbiati siamo abbattuti. Una cosa era dirlo, leggerlo, sentirlo, un'altra è quando accade davvero, tutto insieme, le ondate di calore, la siccità, il collasso dei ghiacciai. Ora in tanti si fanno la domanda: cosa facciamo? E stanno arrivando le prime risposte e tante sono anche risposte stupide, come il pensiero magico che la tecnologia ci salverà senza dover affrontare nessun cambiamento sociale o politico».

Quello che evidenzia Mori è il principale cambiamento nella natura dei movimenti: prima della pandemia erano i custodi delle domande che nessuno voleva farsi, ora dovranno presidiare le risposte che politica e l'economia stanno provando a dare.

In campagna elettorale

Trovarsi improvvisamente in campagna elettorale illustra bene il bivio che hanno di fronte i movimenti per il clima, la più grande forza politica giovanile di quest'epoca.

Come dice Mori «tra noi c'è ancora chi è perso nei massimi sistemi e chi prova ad andare verso la vita reale, alla ricerca di soluzioni concrete nei contesti immediati.

L'arrivo improvviso delle elezioni ce lo sbatte in faccia in modo ancora più forte, a settembre si forma il parlamento in carica potenzialmente fino al 2027. Siamo sempre in attesa di elezioni climatiche, ma sulle prossime mi viene davvero da dire: se non ora quando?».

In due mesi si decide chi guiderà il pezzo centrale e più lungo del decennio decisivo per la transizione ecologica italiana. Di fronte a sé gli attivisti hanno partiti smarriti, frammentati e costretti a una ridefinizione rapidissima delle priorità e dei temi.

Se c'è un pezzo d'Italia che non si riconosce nell'agenda Draghi, sarà in questi giorni a Torino.

Non solo per le politiche energetiche, ma anche per l'approccio alla crisi. «Il ministro Cingolani ha detto: speriamo che la siccità sia temporanea e noi ci chiediamo in quale realtà viva», conclude Luca Sardo. «Questo è il nostro presente e il nostro futuro.

Abbiamo bisogno che ci sia un confronto serio tra i partiti su questo argomento. Interlocutori politici non ne avremo, perché sono processi lunghi, che non nascono a tavolino. Oggi la nostra battaglia è che il clima sia al centro del dibattito per la prima volta in Italia». 

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