La pubblica amministrazione non è arrivata all’appuntamento con il Piano nazionale di ripresa e resilienza in buona salute. Innanzitutto per la qualità non eccelsa del capitale umano a disposizione. Tra i dipendenti delle amministrazioni centrali e locali, il 30 per cento è laureato mentre quasi il 20 per cento possiede solo un titolo della scuola dell’obbligo (dati 2019 di fonte Ragioneria generale dello stato). Vi è stato poi, negli ultimi vent’anni un progressivo depauperamento delle capacità tecniche (Stem, science, technology, engineering and mathematics, come si usa dire oggi) del personale associato alla scelta di esternalizzare alla consulenza privata una serie di compiti tecnici quali la progettazione e la valutazione tecnica ed economica degli investimenti.

Per colmare queste carenze nel 2021 si è avviato un programma straordinario di assunzioni, con procedure di selezione semplificate, di circa 30mila unità, concentrato per la quasi totalità su laureati e profili tecnici.

A ciò si aggiunge la formazione di un bacino di professionisti ed esperti dal quale le amministrazioni titolari di progetti del Pnrr potranno attingere. Certamente, nell’insieme, uno sforzo importante. C’è da chiedersi tuttavia se sia sufficiente a correggere in modo strutturale la debolezza delle competenze tecniche.

Non sembrerebbe se si considera che il nuovo personale è assunto con contratti a tempo determinato, non oltre l’orizzonte temporale del Pnrr. Inoltre, vi è la questione delle retribuzioni da funzionario (intorno ai 40mila euro lordi) non abbastanza attraenti per profili tecnici qualificati.

Su questo aspetto, un contributo potrà venire da un’importante novità: l’istituzione di una quarta area funzionale, destinata all’inquadramento del personale di elevata qualificazione, in posizione intermedia tra gli attuali funzionari e i dirigenti. Bisognerà vedere chi vi accederà.

Il piano per ri-formare la Pa

Non lascia tranquilli il fatto che i dettagli attuativi siano demandati alla contrattazione collettiva e che contemporaneamente sia prevista una revisione degli ordinamenti professionali, sempre contrattata con i sindacati, con deroghe al possesso del titolo di studio per l’inquadramento del personale già in servizio.

È auspicabile che la nuova tornata di progressioni di carriera non ripeta l’esperienza dei primi anni 2000 quando oltre metà del personale fu coinvolta in processi di riqualificazione di dubbia qualità tradottisi poi in promozioni. Un segnale positivo viene dal piano “Ri-formare la Pa” lanciato dal dipartimento della Funzione pubblica, è auspicabile che riesca ad avere più successo di analoghe iniziative del passato.

Tutto ciò comunque non risolverà il problema dell’inserimento di professionisti nel pubblico impiego, se non si metterà mano all’organizzazione del lavoro, abbandonando l’idea che un unico modello sia adatto a tutte le situazioni e non si supereranno le rigidità di inquadramenti e regimi contrattuali di provenienza del personale.

Cruciale riconoscere che il lavoro professionale si svolge in strutture dove il personale senior non svolge compiti assimilabili a quelli dei dirigenti amministrativi pur essendo retribuito in misura analoga. Un esempio interessante è quello del ministero delle Infrastrutture e mobilità sostenibili (Mims), l’unico nel quale esiste un ruolo separato per ingegneri-architetti con una progressione di carriera simile a quella dei ruoli amministrativi.

Un modello replicabile

L’indirizzo strategico del ministero è affidato a una Struttura tecnica di missione, istituita nel 2015, articolata in un comitato composto da esperti esterni in gran parte provenienti dall’Università e in una struttura ministeriale composta da ingegneri, di cui un quarto circa con compiti e retribuzioni da dirigenti.

Nell’ambito della Struttura opera il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del ministero. A fine 2021, poi, è stato istituito un servizio studi per l’innovazione e sostenibilità delle infrastrutture (l’acronimo è Cismi) composto da personale degli enti pubblici di ricerca, superando il tabù della separazione tra ricercatori e ministeri. Un modello replicabile in altre situazioni (la politica industriale?).

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