Nel gran cacciucco No-vax cuociono insieme molti pesci e frattaglie. Non parliamo delle comprensibili inquietudini riguardanti gli effetti a lungo termine dei vaccini. Parliamo di raffinate disquisizioni cattedratiche sul controllo biopolitico del mondo, di convinzioni condivise da terrapiattisti e da pacifiche casalinghe di Voghera che col vaccino si inoculino microchips, di denunce del complotto tipo Bilderberg sulla dittatura capitalistico-sanitaria, nonché del solito menar le mani di fascisti e centri sociali e di altro ancora.

Ben mescolato, il tutto produce l’evento, assai raro nella storia, di piazze eversive che inneggiano alla libertà senza sapere cosa esattamente vogliono, oltre il non sottoporsi a regole condivise.

Norme etiche

Bisognerà dunque continuare a lungo a metter ordine nel significato e nella storia delle parole. Su cosa sia la libertà molto è già stato detto in questi giorni, e altro bisognerà ancora dire. Qui si parla però di un dettaglio. I meno incolti, i laureati – come lo può essere un vicecommissario di polizia - aggiungono che il green pass è “anticostituzionale”. Credo che meriti discutere non se il green pass sia anticostituzionale – che non lo sia è evidente, e lo hanno già spiegato a iosa, anche su Domani, giuristi d’ogni scuola, ma piuttosto cosa significhi, e da dove venga l’invocazione di incostituzionalità.

Perché è una invocazione che ha le sue ragioni e viene da lontano. L’essenza di una Costituzione è nei limiti al potere, nell’equilibrio di pesi e contrappesi, poteri e diritti. Cioè nei meccanismi che regolano il sistema, insomma nel manuale d’uso. Per esempio la costituzione americana – la prima ad aver inventato il genere – consiste tutta nelle regole del gioco, immutate da due secoli; i sacri princìpi sono negli emendamenti, la cui lista si è via via allungata col tempo. La nostra costituzione è diversa.

È, enfatizzano alcuni, “la più bella del mondo” proprio perché è tra quelle che danno più spazio ai princìpi generali (54 articoli su 137). Alla Costituente se ne discusse parecchio. Piero Calamandrei – e si sa che oggi il suo nome chiude la bocca a tutti – ebbe qualcosa da ridire al riguardo. In un ordine del giorno da lui presentato alla commissione per la Costituzione, disse che avrebbe preferito vedere scritti i princìpi generali in un «sobrio e sintetico preambolo». Era infatti convinto che nella Costituzione «debbano trovare posto non proclamazioni di idealità etico-politica, ma soltanto norme giuridiche aventi efficacia pratica, che siano fondamento immediato di poteri e di organi, a garanzia di diritti concretamente sanzionati».

La Costituzione è una legge, affermò in aula il 25 ottobre 1946, e dunque «deve contenere non affermazioni generiche, ma norme precise di condotta e stabilire mezzi pratici per il raggiungimento di certi scopi, nonché le sanzioni che saranno applicate a chi non osserverà quelle precise norme di condotta». In particolare riferendosi ai diritti sociali, bisognava vedere chi sarebbe stato obbligato, «perché il diritto in tanto è tale, in quanto di fronte a esso sussiste un dovere».

Ma andò diversamente, e andò diversamente perché solo sui valori si poté realizzare l’intesa tra le parti, tra solidarismo cattolico, “umanesimo” socialista e “collettivismo” comunista. Infatti la Resistenza, come ha scritto Claudio Pavone, «non era in grado di fornire ai lavori dell’assemblea costituente un coerente e chiaro progetto istituzionale. Fornì più valori che norme». Cosicché, mentre per mezzo secolo i politici si sono baloccati per lo più inutilmente nel proporre modifiche alla seconda parte, la prima è tetragona, e tutti concordiamo sul fatto che sia intangibile. Ci mancherebbe.

Ma nell’impossibilità di modificare le principali regole del gioco (perché le secondarie, i dettagli e i “rami bassi” nel frattempo sono stati parecchio rimodellati), il sistema politico e valoriale si è ancor più arroccato sulla “difesa della Costituzione”, mantra delle sinistre, estreme, meno estreme e moderate, una Costituzione intesa appunto come insieme di princìpi via via estesi a ogni sorta di diritti, fino al «diritto di avere diritti» come ha brillantemente scritto Stefano Rodotà (quello di «Rodotà Rodotà!» gridato nelle piazze dai grillini).

Ma princìpi ideali e norme etiche sono difficili da distillare e trasmettere. Nei paesi di più antica democrazia l’acculturazione civica dei ragazzi avviene attraverso semplici simboli e segni ripetuti, rituali, la bandiera, l’omaggio alla Repubblica, la preghiera del mattino; avviene in famiglia, o nei “consigli comunali dei ragazzi”, teoricamente introdotti anche in Italia nel 1997 ma assai poco praticati, o ancora nelle fittizie assemblee Onu organizzate in molte scuole e università del mondo. Lì si imparano appunto le regole e i diritti.

La non-disciplina

Nulla di tutto ciò nella scuola italiana. Ce lo racconta la bizzarra storia della disciplina-non disciplina (senza orario, né professori, né programma, né voto, ma bella, bella davvero in via dei matti numero zero). È l’”educazione civica” sulla quale ha scritto un aureo libretto un italianista, Claudio Giunta (“Ma se io volessi diventare una fascista intelligente?”. L’educazione civica, la scuola, l’Italia, Rizzoli, 2021).

Ne ha fornito un’anticipazione anche Domani, un mese fa. Introdotta una prima volta nel 1958, poi ritrattata, reintrodotta nel 2008 come «cittadinanza e Costituzione», rimodulata nel 2019 come non-disciplina da praticarsi fin dalla scuola primaria, sgranata in “tematiche”, “assi”, “nuclei concettuali”, tratta “problemi della persona umana, della libertà, della famiglia, della comunità, della dinamica internazionale”, nel consueto accrocco di destra e sinistra dei governi multicolori, via via assiepando nello stesso catechismo ogni valore raccattabile in giro, dalla bandiera all’educazione stradale, alla salute e al benessere, dall’affettività e sessualità allo sviluppo sostenibile, dal diritto del lavoro alla cittadinanza digitale, dal volontariato alla cittadinanza attiva, dal “contrasto alle disugugalianze, alla povertà, all’esclusione sociale, sia nelle comunità online che offline, locali, nazionali, europee e globali” (prosa di Lorenzo Fioramonti, fugace grillo-ministro della Pubblica istruzione), dallo sviluppo ambientale al contrasto alle mafie e alla protezione civile.

Il tutto rifritto in una demenziale sequenza di circolari e disposizioni ministeriali. Sì, demenziale: qui occorrono parole forti, perché che burocrati abbiano formulato simili deliri e che i ministri li abbiano sottoscritti è davvero sorprendente.

Sorprendente ma istruttivo. Perché la sostituzione delle regole costituzionali con un pasticciato focus sui princìpi non è che la parodia dell’assetto costituzionale originario. Una vulgata di princìpi, dove la libertà è intesa come far tutto senza confini né regole né contrappesi, né buone maniere, né saggezza né analisi né riflessione. «Libertà, libertà». Si comincia con le battaglie a cuscinate nei pigiama party, e quando cala l’allegria si passa alle bombe carta. Beppe Grillo ha spesso vantato che il suo movimento abbia svolto un’azione di contenimento di pulsioni eversive. Il che in effetti può essere.

Ma va da sé che un movimento politico che ha come motto supremo “vaffanculo” – pudicamente contratto in vaffa – ha rinunciato a ogni opera pedagogica e si merita il delirio dell’educazione civica-marmellata. Il quale innanzi tutto induce dissimulazione e ipocrisia. Le linee ministeriali sono talmente assurde che insegnano a non applicarle. Gli insegnanti continuano a far onestamente quello che possono o credono, ma impiegando enormi energie a riempire moduli insensati, a tradurre la realtà onestamente praticata in nonsense ministeriale. Gli studenti imparano una adesione furbesca e truffaldina, come suggeriva una decina di anni fa già nel folgorante titolo il libro di un sociologo, Marcello Dei: Ragazzi, si copia. A lezione di imbroglio nelle scuole italiane (Il Mulino, 2011).

Abbiamo scuole, diceva l’autore, nelle quali la perdita del principio di autorità vuota di senso la cittadinanza e mina il rispetto della legalità. Un modo di formare cattivi cittadini.

Ora appunto la sacralizzazione di una costituzione-catechismo fatta di princìpi e non di regole, di valori e non di norme – cioè il contrario di ciò che è una Costituzione – corrisponde a una sua intima, originaria natura che la parodia a mala pena nasconde. Mobilitazioni popolari contro i vaccini avvengono in molti paesi, in paesi per lo più democratici, si noti, come la Francia o gli Stati Uniti, dove pure molte politiche federali incontrano le resistenze statali e locali. Lì ci si appella – forse tradendone lo spirito – ai fondamenti del patto civile. Da noi nelle piazze si agita l’insofferenza di qualsiasi regola, di qualsiasi legalità. In questo senso si grida che il green pass è “anticostituzionale”, così come si immagina che il movimento del vaffa sia “di sinistra”. Tutto insomma dipende da cosa si intenda per Costituzione, per sinistra, per educazione civica.

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