Essendomi preso la responsabilità di crescere una figlia in una grande città europea all’alba del ventunesimo secolo, nel pieno di una fase di declino e di crisi, spesso mi chiedo: è possibile darle un’educazione eco-sostenibile? A meno d’intendere con ciò se sia possibile darle una spolverata di vezzi green buoni solo a fare sfoggio di virtù, sinceramente credo di no.

Il mio stile di vita, per esempio, è ben lontano dall’essere sostenibile. È vero che non guido ed è vero che mangio carne rossa massimo una volta a settimana - abitudini che vengono considerate il non plus ultra dell’ecologismo - ma siamo onesti: il mio impatto ambientale resta elevatissimo. E cambierebbe di poco se facessi più docce fredde o tenessi il riscaldamento sotto i 18 gradi in inverno. Il nostro problema si chiama benessere.

Stile di vita imperiale

Le cose più banali della nostra vita quotidiana sono espressioni di uno stile di vita imperiale che in Occidente costituisce da secoli la norma. Pensiamo all’onnipresenza di un bene voluttuario tipicamente moderno come lo zucchero.

Ancora oggi, con buona pace della barbabietola, viene in gran parte importato: cioè costa energia. E dire che rinunciare al saccarosio comporterebbe sicuramente innumerevoli vantaggi per la salute, oltre ad abbattere il primo simbolo della globalizzazione. 

Ma immaginare di rinunciare per sempre alla dolcezza del gelato, dei biscotti o del cioccolato - altro bene coloniale - costituirebbe un evidente sacrificio per molti adulti, figuriamoci per i bambini. Se iniziassi a proibire tutti i dolci a mia figlia temo che dovrei aprire un aspro conflitto con l’intera famiglia e non escludo di finire in tribunale per maltrattamenti.

Ad ogni modo è inutile stare ad elencare tutto quello che consumiamo direttamente, perché a determinare la nostra impronta ecologica è soprattutto la quantità di forza-lavoro che comandiamo.

Dal momento che a consumare sono altri, che lavorano per noi fabbricando e spostando le merci che poi arrivano sulla nostra tavola, siamo sempre noi a lasciare quell’impronta. L’impronta indiretta del benessere.

Insomma la prima cosa che dovrei fare per dare a mia figlia un’educazione eco-sostenibile sarebbe privarla del benessere della classe media occidentale, e davvero non saprei come convincere familiari, amici, media e tribunali che questa non sia una deliberata crudeltà.

Lo stile di vita sostenibile di cui avremmo bisogno assomiglia a quello di qualche setta legata a un culto arcaico o a un’etica neo-primitivista. Per anni abbiamo ironizzato su di loro, ora poco a poco inizia a venirci il sospetto che potrebbero avere ragione loro.

Anche ammettendo che io abbia la fibra morale per imporre a me una scelta tanto radicale (non ce l’ho, perché sono debole e pigro), anche ammettendo che io abbia la severità per imporla a mia figlia (non ce l’ho, perché contrariamente ad Abramo voglio più bene a lei che al resto dell’umanità), ad ogni modo un singolo individuo non dispone oggi della libertà di sottrarsi alla propria epoca. Rifiutare le regole di quel gioco chiamato consumo significa escludersi dalla socialità e dall’accesso alle risorse attraverso la formazione professionale.

Programmati per consumare

Io non credo che sia possibile per un piccolo-borghese occidentale “diventare” eco-sostenibile: nella nostra seconda natura sono iscritti profondamente bisogni, abitudini e persino valori altamente esosi, in termini di energia, risorse e lavoro comandato.

Si tratta del modo in cui siamo stati programmati attraverso la nostra educazione, per funzionare all’interno di una società che ci chiede innanzitutto di consumare. E sfortunatamente non credo nemmeno che saremo in grado di educare i nostri figli secondo valori sensibilmente diversi. Solo dei santi (o dei folli) saprebbero mettere la loro ferrea disciplina al di sopra delle proprie inclinazioni: ma non vedo santi in mezzo a noi.

Possiamo anche insegnare ai nostri figli ogni singolo gesto green, ma non servirà a nulla finché non diremo loro la verità: sei tu che non sei green, figlia mia, i tuoi gusti e le tue speranze, la vita che sogni e quella che io sogno per te.

Sei semplicemente nata nel cuore di una stella morente, la cui luce ha irradiato tutto ciò che c’era attorno fino a bruciarlo interamente. 

E anche a quel punto, di fronte a questa consapevolezza, sarà impossibile svincolarsi dalla programmazione che ci spinge a bruciare risorse in nome di un “minimo vitale” socialmente costruito. D’altronde siamo l’epoca che ha teorizzato il diritto alla felicità.

Dunque il mondo è spacciato? Non è detto, ma di certo non lo salveremo noi.

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