La maggioranza Ursula, che sulla carta intendeva ispirarsi e affidarsi alla prima donna presidente della Commissione europea, e guidata dall’uomo italiano più rispettato d’Europa, ha dato vita a un governo che sotto molti aspetti non rispecchia le linee che ispirano le scelte della Commissione in carica.

La Commissione europea formata da von der Leyen è la più paritaria mai formata, con 12 commissarie donne su 27. Sono donne le commissarie alla concorrenza (Margrethe Vestager), all’innovazione (Marija Gabriel), alla salute (Stella Kyriakidou), ai trasporti (Adina Vãlean), all’energia (Kadri Simson) e ai servizi e stabilità finanziaria (Mairead McGuinness). Tutte deleghe non tradizionalmente affidate alle donne, sebbene sia affidata a una donna anche quella alla parità, e soprattutto assolutamente non marginali per la strada che la commissione intende intraprendere fino al 2024.

Il governo di Mario Draghi invece presenta una percentuale di donne di poco al di sopra del 30 per cento, ma di cui la maggior parte sono relegate nei dicasteri senza portafoglio e in cui primeggiano le tematiche femminili: famiglia e parità, disabilità. Ci sono donne, ma sono tecniche, in tre ministeri importanti (Interno, Giustizia, Università e Ricerca) quasi a certificare che le donne in politica non sono all’altezza.

Ministeri “da donne”

Perché una scarsa percentuale di donne nel governo dei migliori è un problema? Perché rafforza lo stereotipo che tra i migliori, i competenti, ci siano solo uomini. Perché le donne in posizioni di potere servono come role models per le generazioni future, abbiamo tutti notato le parole di Kamala Harris: «Sono la prima, ma non sarò l’ultima». Perché è dimostrato (dai dati) che quando gli esecutivi o le assemblee legislative hanno una percentuale più alta di donne le decisioni prese si occupano in proporzione maggiore delle tematiche che interessano alle donne. È quindi un problema di rappresentanza sostanziale e non solo formale.

Il fatto poi che le donne siano relegate nei ministeri “da donne” rafforza lo stereotipo che le donne si possano occupare prevalentemente di tematiche “compassionevoli” per il semplice fatto che sono donne. Tutto viene da stereotipi sulla personalità in base al genere che sono profondamente incardinati nella nostra società occidentale: le donne sono più capaci di attenzione e cura che di polso fermo e autorevolezza.

Ma con il problema strutturale che ha il nostro mercato del lavoro con un tasso di partecipazione femminile tra i più bassi in Europa era così impensabile mettere una donna al ministero del Lavoro?

Il cambiamento necessario

La palma d’oro della sconfitta, 2 a 0 a tavolino direbbero i maschi al calcetto, spetta alle donne di sinistra. Il Pd e Leu hanno quattro ministri, e nessuna donna. Eppure tradizionalmente, almeno sulla carta, sono i partiti di sinistra che sostengono la parità di genere e infatti quei partiti sono pieni di militanti donne. L’attivismo (dentro e fuori i partiti) è molto femminile mentre il potere rimane maschile.

Una delle principali ragioni è che i partiti sono ancora un club per uomini i cui riti e consuetudini sono stati instaurati e progettati dagli uomini per gli uomini. Pensate solamente al rispetto dei tempi nei dibattiti, quanto spesso sono le donne le uniche a rispettarli? Purtroppo però parlare a lungo, arrogandosi il diritto di deviare un percorso stabilito, è ritenuto ancora un segno di bravura. Intervenire interrompendo chi sta parlando è sgarbato, ma se lo fa un uomo è un peccato veniale, se lo fa una donna è subito una rompiscatole. Fare networking è necessario, ma se lo fa una donna è spesso tacciata di usare “mezzi scorretti”. L’ambizione è positiva per gli uomini, sgradevole nelle donne. Inoltre, purtroppo le poche donne che sono al potere spesso non accettano di fare squadra con altre donne, come se temessero che le loro conquiste fossero sminuite.

Sarebbe bello che in questo cambiamento di paradigma non fossimo sole, che gli uomini di potere si facessero sodali, ma non bisogna aspettarselo. Bisogna lottare per entrare nella stanza dei bottoni e anche per cambiare le regole perché altre possano farcela con meno fatica. Essere a favore delle quote rosa (più in generale di politiche di “affirmative action”) non vuol dire pensare che le donne siano inferiori ma riconoscere che il campo da gioco non è equilibrato e serva un aiuto esterno per riequilibrarlo.

Il primo governo Sanchez, che ha giurato nel 2018, era composto da 11 ministre su 17. Era anche dovuto al fatto che il panorama politico in Spagna (non la Finlandia o la Svezia) è profondamente mutato dopo che nel 2007 è stata approvata una legge che imponeva il minimo del 40 per cento per ciascun genere, con obbligo di alternanza nelle liste. Ci vuole impegno e tempo, ma cambiare si può.

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