Alla fine del giro di poker avviato da Matteo Renzi, il clima si è incattivito ma siamo tornati sostanzialmente all’equilibrio iniziale, con Italia viva pronta a mettere sotto stress il governo in tutti i casi in cui intravede lacune o contraddizioni.

Lo farà, ad esempio, sui provvedimenti del ministro della Giustizia che intaccano il principio della prescrizione. Lo avrebbero fatto anche se le ministre Bellanova e Bonetti fossero rimaste al loro posto.

Nel frattempo, oltre ad aver perso due ministeri, Renzi ha dovuto prendere atto che Conte non è più un tecnico prestato alla politica e non è sostituibile, se non attraverso elezioni anticipate.

La domanda che quindi alimenta il sequel di questa particolare serie Tv è se non sia inevitabile, o non sia meglio per tutti, andare al più presto al voto, con un occhio ai sondaggi. Sui quali è necessaria una noiosa premessa tecnica, che consiglio di non saltare.

Le percentuali che vediamo in tabella sui giornali non corrispondono quasi mai alla percentuale di “rispondenti” che hanno dichiarato di votare per quel partito nelle rilevazioni di cui si pubblicano i risultati. Tutte le rilevazioni includono inevitabilmente distorsioni che dipendono dalla tecnica utilizzata (web, mobile, telefonia fissa) o dalla composizione dei panel dentro cui vengono pescati i rispondenti per le interviste web autosomministrate.Per esempio, le CATI (telefoniche) tendono a sovra-rappresentare il PD, le CAWI (web) i 5 Stelle.

Quindi, i risultati delle indagini, prima di essere presentati al pubblico vengono ponderati, cioè riadattati per compensare questi ed altri squilibri con procedure che però rischiano di introdurre ulteriori distorsioni.

Ora, considerate che in una rilevazione di 1000 casi le intenzioni di voto sono dichiarate da circa 600 persone. Quindi, un cambiamento dell’1 per cento è determinato da 6 intervistati. Ma variazioni di 6 unità nel caso di un grande partito o di due o tre per i piccoli si registrano anche se la stessa società rifà lo stesso sondaggio lo stesso giorno con la stessa tecnica.

Da qui le enormi difficoltà di stimare il partito di Conte che ancora non c’è, tanto che si va dal 10 per cento di Euromedia Research al 16 di SWG. Tutto ciò considerato, vedere accese discussioni televisive su presunti cambiamenti settimanali nelle intenzioni di voto dello 0,4 per cento, o sul sorpasso tra nanopartiti, fa morire dal ridere.

Meglio la media

La conoscenza più accurata che possiamo pretendere di ricavare dai sondaggi è quella fornita dalle medie di tutte le rilevazioni pubbliche, arrotondate all’unità, calcolate sul sito poll of the polls ora incluso in www.politico.eu, che ha anche il vantaggio di includere tutti i paesi europei.

La situazione è questa, da mesi. Il centrodestra (Lega+FdI+FI) sta intorno al 48 per cento, al netto del fatto che la Lega di Salvini è in lento e costante calo dall’estate del 2019 a vantaggio della Meloni. Il Pd (20 per cento), più il M5S (15 per cento), più il pulviscolo dei partitini di centrosinistra (13 per cento) arrivano alla stessa percentuale.

Ora, se uno si limita a fare la somma delle intenzioni di voto per i partiti di governo arriva rapidamente alla conclusione che il centrodestra vincerà le prossime elezioni.

Se le elezioni saranno giocate con un sistema elettorale almeno parzialmente maggioritario come quello in vigore, ci sono almeno tre altri fattori da considerare: 1) che fine fanno i voti oggi accreditati ai nanopartiti, tutti destinati a scomparire se andassero ciascuno per conto proprio; 2) quanti punti percentuali aggiuntivi recupera tra gli indecisi o sposta una lista Conte; 3) quale delle due principali coalizioni “vince più seggi con meno voti”.

A mio giudizio, non meno della metà di quei voti sono attraibili nell’area dell’attuale governo, in parte cooptando ceto politico, in parte giocando sul voto utile.

Effetto Conte

Conte può mobilitare almeno 5 punti percentuali aggiuntivi. Il centrosinistra allargato ai 5 stelle potrebbe risultare più efficiente nel rapporto voti/seggi uninominali rispetto al centrodestra.

Se una coalizione stravince in una certa parte del territorio, "paga” i seggi di più di chi vince di poco in molte aree. A parità di voti (in termini aggregati nazionali) la prima coalizione prende meno seggi della prima. Stavolta questo fenomeno potrebbe penalizzare il centrodestra leghista, che concentra sproporzionatamente il suo vantaggio nelle aree periferiche e rurali del Nord.

Per queste varie ragioni, come avevo già scritto in un pezzo del 2 gennaio, quando poteva apparire una affermazione fantasiosa, l’esito di un voto a breve, con l’attuale sistema elettorale, non è affatto scontato.

I sondaggi resi pubblici nel corso della settimana sul potenziale della lista Conte allineano a questa interpretazione la percezione di diversi attori politici, rendendo ancora più evidenti le pulsioni favorevoli a elezioni anticipate da parte, tra gli altri, del segretario Pd e dei suoi potenziali successori.

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