Revochiamo la concessione ad Autostrade per l’Italia e chiudiamo questa faccenda una volta per tutte, per rispetto dei morti del ponte Morandi del 14 agosto, ma anche per rispetto dei contribuenti e degli automobilisti tartassati al casello. 

Certo, ci saranno degli strascichi giudiziari, qualcosa andrà comunque pagato (tra i 2 e i 7 miliardi), ma meglio correre qualche rischio che affrontare la certezza di altri mesi o anni di trattative e manipolazioni da parte dei Benetton e dei loro manager. 

Le carte dell’inchiesta sui risparmi indebiti sulle barriere di sicurezza,  che ieri ha portato a misure cautelari verso manager attuali e passati di Autostrade, incluso l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci, tolgono ogni dubbio: con i Benetton non si può trattare. 

L’accordo del 14 luglio scorso, che prevedeva il passaggio del controllo di Autostrade per l’Italia alla Cassa depositi e prestiti non ha portato i risultati sperati. 

Nel frattempo abbiamo imparato una serie di cose utili, grazie anche all’inchiesta della procura di Genova: tutti i sospetti sulla gestione della crisi da parte di Autostrade e dei Benetton erano fondati. 

Primo: Autostrade ha risparmiato sulle manutenzioni per distribuire più utili agli azionisti, lo dice Gianni Mion, amministratore delegato della cassaforte della famiglia, Edizione Holding, intercettato al telefono: “Il vero grande problema è che le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo meno facevamo (…) così distribuiamo più utili”. Sarà un processo a stabilire se questo approccio ha determinato il crollo del ponte Morandi, di sicuro è un metodo applicato in azienda che legittima diffidenza verso l’intera gestione della rete autostradale e tutte le infrastrutture connesse. 

Secondo: i Benetton hanno usato il loro enorme potere politico per condizionare l’esito del negoziato con il governo, intervenendo su tavoli apparentemente distanti (e che lo stesso governo ha sempre detto non essere collegati). Castellucci, con il presidente della Liguria Giovanni Toti, trattava il salvataggio della banca Carige in cambio di intercessioni presso Matteo Salvini e Luigi Di Maio in modo da tenere la concessione, poi lavorava al salvataggio di Alitalia di cui sperava di diventare presidente, risolvendo un problema politico al governo. Doveva sentirsi molto sicuro della sua presa sull’esecutivo, se pensava che il governo Conte versione gialloverde avrebbe affidato la compagnia aerea a chi guidava Autostrade al momento del crollo del ponte. 

Gli esiti di questo lavorio si sono visti anche di recente, con la ministra dei Trasporti Paola De Micheli che negozia con Autostrade un nuovo Piano economico e finanziario che garantisce agli azionisti 21 miliardi di dividendi, un piano così generoso da essere criticato anche dall’Autorità dei trasporti. Con sprezzo del ridicolo, ieri De Micheli ha sostenuto che il piano non è collegato alla trattativa sul controllo di Autostrade, anche se il valore dell’azienda è determinato proprio dai dividendi futuri attesi. 

Mentre il governo aspettava i loro comodi, i Benetton hanno cercato di scaricare le responsabilità di ogni problema su Castellucci, poi sulla gestione pubblica di Autostrade (privatizzata, purtroppo, nel 1999), ora dalle carte dell’inchiesta capiamo che nell’azienda c’è un perfetto sistema di scaricabarile per cui ogni dirigente può incolpare qualcun altro delle mancanze. 

Non possiamo continuare così, a oltre due anni dalla tragedia di Genova i Benetton hanno manipolato politica, mercato e opinione pubblica. Meglio la revoca che i pasticciati tentativi di ricomprare l’azienda che una volta era di stato. Con queste controparti non si può trattare.

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