Non si parla male dei morti, soprattutto se il fatto è appena accaduto. Ancor di più se la persona in questione è un membro della famiglia reale. Ma il confine tra un cortese e compassionevole momento di condoglianza pubblica che si riserva a notizie di questo tipo e l’‘invenzione’ della tradizione, ora in diretta in mondo visione da Buckingham Palace, è molto labile.

In queste ore in cui i media britannici raccontano la morte di Filippo, duca di Edimburgo e principe consorte della regina Elisabetta, quel confine sembra essere stato oltrepassato. E non soltanto dalla stampa ‘di casa’: la diretta dal famoso cancello nero e oro con tanto di bandiera a mezz’asta come sfondo non se la è fatta mancare nessuno.

Basta fare un giro su tutti i siti web delle testate italiane e mondiali. In questo momento di condoglianze globali ci ritroviamo dunque a essere gli spettatori o i lettori complici di un esercizio collettivo di ‘ipocrisia’ mediatica che rischia di assomigliare, ahimè, a un’operazione di rimozione del passato. Però, va detto, con momenti di ilarità pura.

Il duca di Edimburgo è deceduto venerdì mattina al castello di Windsor, dove era rientrato lo scorso 16 marzo dopo un ricovero e un’operazione chirurgica. Avrebbe compiuto 100 anni il prossimo 10 giugno, di cui oltre 70 passati a fianco, nel senso realmente letterale del termine, della donna più famosa del mondo.

Offriamo anche noi le nostre sincere condoglianze alla famiglia reale. Ma proprio considerarla una notizia inaspettata e accolta con enorme shock, come ha titolato il Sun o annunciato in diretta la rete televisiva ITV a pochi minuti dal comunicato ufficiale, mi pare sia una forzatura.

Lo dimostrano, del resto, gli innumerevoli ‘coccodrilli’ che in un battibaleno sono andati in onda su tutte le reti a commento della ‘breaking news’. Chiaramente questi servizi che ripercorrevano la storia d’amore con la giovane Elisabetta e il ruolo pubblico di Filippo erano stati preparati da mesi, forse da anni e anni.

Questa volta tutti i giornalisti si son ricordati di indossare la cravatta nera a lutto. La volta scorsa, quando la notizia da commentare era la morte della regina madre, qualcuno se la era dimenticata e le tensioni fra BBC e Carlo sono andate avanti per mesi.

Le vedremo per qualche giorno ancora le fotografie ufficiali di Buckingham Palace così come i servizi con immagini di repertorio. Un mondo in pellicola lucida e sgranata anni Sessanta e Settanta che suscita un fremito di nostalgia e di sincera partecipazione anche fra i più scettici e antimonarchici. Un po’ come se con Filippo si chiudesse definitivamente il ventesimo secolo e, soprattutto, una ghiotta occasione per smettere di pensare alla pandemia.

La lunga lista di reazioni ufficiali è ancora in divenire, ma il tono è stato chiaramente delineato dall’intervento del primo ministro Boris Johnson fuori la famosa porta nera di Downing street, luogo di annunci speciali. La lista di aggettivi usati si gonfia di minuto in minuto: se per Johnson il principe Filippo era ‘molto rispettato’ e per Skynews l’impatto che la notizia avrà sull’opinione pubblica statunitense sarà simile a quello scatenato dalla morte di Lady Diana, la categoria dei politici minori inaugurata dall’ex primo ministro laburista Gordon Brown che ha battuto sul tempo Tony Blair e un sacco di conservatori, si è limitata a ricordarlo come una figura «influente», che «ha toccato con gentilezza» le vite di molti, un «costante riferimento» per il paese. Come si diceva sopra, una sorta di “invenzione della tradizione”, innocua e indulgente ma pur sempre una esaltazione che ha poco a che fare con la realtà.

A seguire, poi, le consuete glosse su quanto Filippo fosse «attivo», «sportivo» ed «elegante». Vien quasi da chiedersi se si tratti delle prove generali per futuri e ben più importanti annunci perché, a parte il richiamo al taglio sartoriale di Saville Row per i blazer, il principe Filippo impersonava il meglio, e soprattutto rappresentava il peggio, di una aristocrazia ottocentesca imbullonata nel privilegio di un sistema para-feudale, peraltro non facendo mai mistero del non voler accettare il cambio dei tempi e la modernità sociale.

L’aggettivo che non è stato utilizzato sinora per ricordarlo è ‘razzista’, ma è con quello e più di tutti gli altri che Filippo è stato descritto negli ultimi 50 anni a fianco di Elisabetta. Appunto, il confine fra invenzione e rimozione del passato qui forse viene varcato.  

Nella lunga lista che la BBC ha dedicato ai suoi commenti ‘ineleganti’, il tono sprezzante di una presunta superiorità inglese – e dunque bianca – è dominante. Se alcuni di questi possono essere ricompresi, ma non di certo giustificati, nel clima degli anni in cui sono stati pronunciati, altri invece traspirano razzismo, sessismo stereotipato e insensibilità culturale.

Potrà forse far sorridere ancora qualcuno l’invito rivolto a un gruppo di studenti a non passare troppo tempo in Cina «perché poi gli occhi diventano a mandorla» o i vari pareri estetici da maschio-alfa sulle donne, ma commentare che «le Filippine devono essere ormai vuote visto che sono tutti emigrati nel Regno Unito» proprio con una infermiera di origini filippine va oltre il «ha sempre detto quello che pensava», come ha impacciatamente tentato di giustificare la BBC

Dove si trova il limite fra pubblico e privato quando si tratta della famiglia reale non è mai chiaro; Filippo certamente lascia un vuoto nella sfera personale degli Windsor, ma se e quanto esso si rifletta nello spazio pubblico resta molto più difficile immaginarlo.

Di certo ha costantemente sostenuto e incoraggiato, seppur involontariamente, l’umorismo e la satira inglese con le sue infinite gaffe che hanno imbarazzato la regina e i suoi figli e nipoti per decenni. Ha continuato questa tradizione fino all’ultimo: è morto nel giorno dell’anniversario di matrimonio di Carlo e Camilla. Nemesi?  

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