Una studentessa turca della Tuft University finita in manette per aver scritto su un giornalino della deriva di Gaza, finita in un carcere della Louisiana senza che abbia potuto parlare con il suo legale. Ormai i casi del genere si sanno moltiplicando negli Stati Uniti di Trump
Un altro arresto arbitrario di uno studente straniero, in questo caso una dottoranda turca, Rumeysa Ozturk, della Tuft University a Boston. Colpevole, a quanto sappiamo, di avere co-autorato la primavera scorsa un editoriale su un giornale studentesco nel quale si accusava Israele di mettere in atto un’azione genocidaria a Gaza e si criticava Tufts per non aver promosso il boicottaggio delle università israeliane.
Non vi è stata alcuna udienza, nessun capo d’imputazione è stato notificato per motivare l’arresto di Ozturk, se non l’ormai consueta dichiarazione del dipartimento della Homeland Security secondo la quale la dottoranda sarebbe stata impegnata in «attività a sostegno di Hamas».
Violando l’ingiunzione di un giudice federale, che chiedeva di sospendere un eventuale trasferimento di Ozturk fuori dal Massachusetts, la studentessa si trova ora in un carcere in Louisiana, subappaltato dall’agenzia federale competente, l’Ice (U.S. Immigration and Customs Enforcement), a un contractor privato. Non è stato ancora permesso al suo avvocato di mettersi in contatto con lei e parlarle.
Le analogia con il caso Khalil
Sono molte le analogie con la vicenda dello studente di Columbia University, Mahmoud Khalil, arrestato e trasferito in Louisiana 20 giorni fa, mentre si moltiplicano i casi di studenti e studiosi presi di mira dall’amministrazione Trump con arresti, revoche dei visti o dei permessi di soggiorno, espulsioni. Studenti e studiosi rigorosamente stranieri e “altri” – mediorientali e asiatici – come ci indicano i loro profili e nomi. Ed è anche da qui che dobbiamo partire per cercare di comprendere cosa ispira questa prima ondata di selettiva repressione cui stiamo assistendo: le sue matrici così come i suoi obiettivi.
Come in qualsiasi disegno autoritario, anche in quello trumpiano, l’intimidazione e il silenziamento del dissenso svolgono un ruolo centrale. Per il momento, queste sono azioni finalizzate a colpire alcuni per “educare” tanti, mentre i Dipartimenti di Stato, della Giustizia e della Homeland Security si preparano a lanciare un programma di monitoraggio tramite intelligenza artificiale dei profili social di centinaia di migliaia di studenti per individuare, e nel caso sanzionare, commenti ritenuti antisemiti o pro-Hamas. E la paura, comprensibile, sembra diffondersi rapidamente nelle università statunitensi.
I vertici di quelle più importanti e, in teoria, potenti, capitolano rapidamente ai ricatti di Trump; studenti e docenti – su tutti quelli privi della protezione che la cittadinanza statunitense per il momento ancora garantisce - si affannano a cancellare email, sms e post, arrivando a chiederti esplicitamente di evitare scambi “scomodi” e di limitarsi solo a comunicazioni verbali.
Figure vulnerabili
Ma quegli “alcuni” che sono stati finora colpiti non paiono proprio essere scelti a caso. Sono figure vulnerabili - la docente libanese, lo studente siriano, la studentessa coreana, la dottoranda turca, il dottorando iraniano – con visti temporanei per lavoro e studio, facilmente revocabili (Khalil ha in realtà una green card - un permesso di residenza a tempo indeterminato - ottenuto recentemente, ma a quanto pare l’Ice non era a conoscenza di questo suo cambiamento di status).
E incarnano un’alterità – razziale e religiosa – che sappiamo essere centrale negli schemi del nazionalismo identitario e razzista di Trump e del suo movimento Maga. Figure gettate in pasto a una base dove pregiudizi razziali e religiosi sono diffusi; e dove – come evidenziano numerosi sondaggi – quelli anti-arabi e islamofobi rimangono forti e sono anzi nuovamente cresciuti dopo la barbarie del 7 ottobre 2023 e ciò che è seguito a Gaza.
Intimidazione, repressione del dissenso, azione preventiva per evitare che esso torni a manifestarsi, e utilizzo di patenti codici razziali contraddistinguono questo giro di vite cui assistiamo attoniti e inorriditi. Un’ulteriore variabile deve però inserita per completare il quadro: quella della crudeltà e della violenza. Così visibili nell’azione del gruppo di agenti Ice mascherati e senza elementi identificativi che bloccano e ammanettano Ozturk.
E così centrale, finanche dominante, nella retorica e nella simbologia trumpiana. Crudeltà e violenza che sono dispiegate e, oggi, spesso esibite. Per ostentare efficienza, decisionismo e fermezza; per offrire un messaggio semplificato e binario che negli schemi della retorica politica corrente catturano immaginari e voti; per preparare il terreno ad altri provvedimenti, a partire dall’ormai imminente ordine esecutivo che, dalle indiscrezioni che stanno circolando, impedirà l’ingresso negli Usa da più di 40 paesi.
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