Mi scrive Monica, amica e collega che lavora nel Pronto soccorso di un capoluogo di provincia dell’Italia settentrionale. Negli ultimi tre mesi, dal suo reparto si sono dimessi sei medici, quattro dei quali per andare a lavorare come medici di base. Questo significa, per quelli che resteranno, passare da quattro a cinque, se non addirittura a sei notti e a tre fine settimana di lavoro al mese, nelle condizioni di sovraccarico e di rischio lavorativo che oramai tutti conosciamo.

Naturalmente, le cose andranno peggio nei periodi di ferie e nel caso in cui qualcuno dovesse mettersi in malattia o aggiungersi alla lista dei dimissionari. Nel 2022 Monica non è riuscita a esaurire le ferie a cui avrebbe avuto diritto ed ha accumulato 120 ore di straordinario non pagato che non lo saranno probabilmente mai, perché i medici ospedalieri sono considerati tutti dei dirigenti e non hanno, salvo alcune eccezioni, diritto ad esporre le ore di lavoro aggiuntive.  

Er all’italiana

Lascio adesso la parola a Monica: «Sinceramente non credo di poter reggere tre weekend, cinque notti e i turni oltre il monte ore. Accettare questa condizione di lavoro vorrebbe dire sacrificare ancora di più la mia famiglia, ma anche me stessa e la ricerca clinica che ad oggi è la mia ancora di salvezza per restare in pronto soccorso. Non so davvero cosa  fare, se continuare a vivere alla giornata o pensare che, a 45 anni, dovrei avere un piano B».

Monica è un medico esperto. Per intenderci, un medico d’urgenza da serie tv.  È in grado di gestire un grave traumatizzato e un paziente in arresto cardiaco, usa la sonda dell’ecografo come una terza mano, inserisce drenaggi toracici e cateteri nelle vene del collo, è capace di intubare e di usare un ventilatore meccanico. Se il suo piano B fosse quello di andare a fare il medico di medicina generale, sarebbe una grave perdita per il suo pronto soccorso  e per l’intero ospedale.

I conti in tasca

Dei tanti problemi che interessano la medicina ospedaliera e quella territoriale ho più volte scritto su questo giornale. Non mi sono però mai addentrato, se non per accenni, negli aspetti economici della professione medica, forse considerando la cosa poco elegante per quella che molti si ostinano a considerare una missione più che un lavoro. Ma credo che adesso sia giunto il momento di farlo.

Ripartendo da Monica, che ha oltre dieci anni di anzianità ospedaliera, diciamo subito che il suo stipendio netto è di circa  3.400 euro mensili, comprese notti e reperibilità (2 euro aggiuntivi per ogni notte di reperibilità!). I suoi colleghi con meno di cinque anni di anzianità ne guadagnano 2.600. Un primario, tra i 4.000 e i 6.000.  I medici di alcuni reparti, in particolare quelli delle chirurgie specialistiche che effettuano interventi chirurgici in libera professione “intramoenia”, giungono a raddoppiare o a triplicare questo stipendio. Sempre con la libera professione i cardiologi e gli specialisti di specialità mediche lo integrano in media di qualche centinaio di euro al mese. Ma per i medici di pronto soccorso non è prevista nessuna possibilità di lavoro libero professionale.  

Queste cifre  potranno sembrare alte o basse a seconda dei riferimenti di ognuno (sono senz’altro basse se le si comparano con gli stipendi medi dei medici europei o americani). Forse ci si potrà fare  un’idea più chiara confrontandole con gli stipendi della medicina di base. Un medico di famiglia con 1.500 assistiti (oramai quasi la regola) guadagna tra i 4 e gli 8mila euro netti al mese a seconda dell’età dei suoi pazienti e della propria anzianità di servizio. 

È vero che questi medici devono provvedere alle spese per il mantenimento dello studio, ma è anche vero che il loro orario prevede un massimo di 15 ore settimanali  di ambulatorio (ne dedicano altre, non quantificate,  alle visite domiciliari e alla burocrazia), che non lavorano il sabato e la domenica né la notte, che ricevono degli extra per le certificazioni e le vaccinazioni e che, infine, nulla vieta loro di integrare lo stipendio con attività di libera professione.  In poche parole, una gran parte dei medici di medicina generale guadagna più di un primario ospedaliero e molto più di Monica che  lavora giorno e notte con grandi  responsabilità professionali e  in una situazione di elevato stress fisico e psicologico.

Non scrivo tutto questo per proporre delle graduatorie di merito. Medici ospedalieri e territoriali sono ugualmente importanti quando fanno il proprio mestiere con competenza e dedizione. Mi sembra però evidente che tra le retribuzioni dei medici ci siano delle sperequazioni che devono essere corrette. Se così non fosse, non potrei che  dare ragione agli oltre cento medici che ogni mese si licenziano dai Pronto soccorso italiani  per aprire uno studio di medicina generale o lavorare nelle cooperative che affittano medici per cento euro all’ora agli ospedali pubblici  oramai in ginocchio.

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