Due anni di pandemia e cento giorni di guerra hanno messo l’Europa di fronte a problemi globali del tutto sconosciuti alle generazioni attuali.

Dopo la gestione delle emergenze, la sfida di questo “anno zero” è trovare ora un nuovo modello di progettualità per quella che probabilmente verrà identificata con una nuova fase della storia contemporanea.

È una riflessione che abbiamo affrontato qualche giorno fa insieme ai giovani studenti di Elsa (European Law Students Association), concludendo a Torino un ciclo di incontri dal titolo “La convivenza come progetto” a cui hanno partecipato filosofi, antropologi e giornalisti.

Il lavoro di ricerca e riflessione ci ha portato a una considerazione interessante: i cambiamenti degli ultimi vent’anni, da quelli ai nostri confini all’identità della nostra democrazia, sono stati visti sempre più come un problema che riguarda solo marginalmente la politica, quando invece è palese che proprio la politica sia l’unico possibile spazio di condivisione del futuro.

La stessa parola “politica” suona estranea ai cittadini che non sono più abituati a considerarla come uno strumento di partecipazione.

I più giovani, in particolare, non l’hanno mai vista come realmente funzionale alla costruzione della società in cui dovranno operare. Per un giovane oggi è molto più facile sognare di risolvere i problemi del mondo diventando Elon Musk che non immaginarsi in un parlamento.

Per fare capire quanto sia necessaria può essere utile una metafora dal mondo della biologia. Negli ultimi vent’anni è entrata sempre più in uso la parola “condividuo” per indicare un organismo complesso come gli stessi esseri umani.

La simbiosi prevede la mutua assistenza di organismi esterni, ma in un condividuo la collaborazione è endogena. Pensiamo ai miliardi di essere viventi indipendenti che si sono creati un habitat nel nostro corpo, diventando utili alla nostra fisiologia.

Sono la dimostrazione che non sempre il darwinismo conflittuale tra le specie è la soluzione migliore per sopravvivere. Nei sistemi complessi è più efficiente la cooperazione.

A livello sociale e antropologico un sistema enormemente ricco di variabili e interconnesso, come il mondo contemporaneo, richiede la stessa capacità di far cooperare individui diversi per rispondere al maggior spettro di problemi.

L’unità più piccola di questo sistema è la scelta etica che compie il singolo individuo. Ciascuno di noi, nelle decisioni della propria vita definisce cosa è giusto e cosa sbagliato.

La politica allora diventa la capacità di applicare queste scelte a livello collettivo: l’etica di ciascuno entra a far parte di una condivisione di valori, su cui viene fondato un progetto comune, che viene a sua volta affidato a un coordinamento capace di tradurlo in forma pratica.

Una creazione collettiva come questa, il cui risultato è più grande dell’iniziativa dei singoli, è un organismo che fa propri i metodi della convivenza e condivisione e, per questo, non solo è più flessibile, ma possiede anche una maggiore capacità di comprendere e accettare l’identità di altri individui.

Per un organismo con queste caratteristiche nessun un altro sarà così alieno da rendere impossibile quanto meno l’ascolto.

La sfida sarà piuttosto nel ricordare a ogni individuo che “politica” non indica un sistema a cui è estraneo, ma il processo attraverso cui la sua etica personale diventa parte delle decisioni collettive del suo futuro. Troppo ambizioso?

Forse no, se lo si vede come una necessità storica. Un tempo l’umanità ha deciso che “non uccidere” poteva diventare un precetto universale e lo ha trasformato in legge, chissà che un giorno non si possa dire lo stesso con “non inquinare” o “non invadere uno stato sovrano”.

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