Credo che il problema si sia acuito, dentro di noi, da quando non siamo più obbligati a ricordare i numeri di telefono. Quella abitudine giornaliera, o comunque regolare, a legare un numero a una azione, a una persona, o a un collettivo, l’abbiamo persa.

I numeri sono stati sostituiti dai nomi, e i nomi da un tasto. Dal mese di marzo del 2020 a ora, i numeri sono tornati a pretendere una presenza quotidiana, o comunque regolare, nelle nostre giornate.

Solo che tutto ciò che c’è dietro ai numeri non solo ci sfugge, ma ci è alieno. Ogni giorno, di nuovo, riceviamo il numero dei nuovi contagiati, il numero dei decessi, e non sempre a questi due numeri vengono connessi, come sarebbe naturale, il numero dei tamponi, o quello dei ricoveri, per esempio. Se tuttavia consideriamo quel numero come un assoluto, perdiamo la possibilità di capirne la gravità.

Lo stesso numero di infetti ha un significato che varia – lo stesso numero, ribadisco – in base al numero di tamponi. 50 positivi su 3500 tamponi non sono 50 positivi su 2500 tamponi (è più allarmante il secondo dato), per esempio.

Dunque, giorno per giorno, l’esercizio consiste nel confrontare i positivi con i tamponi. E stesso esercizio va fatto se si vogliono seguire gli incrementi e dunque l’andamento – è esponenziale o no? – della curva dei contagi.

Inoltre, per esempio, quando i numeri di contagi di questa seconda ondata somigliano, sembrano, pareggiano, i numeri dei contagi dei giorni di aprile, è opportuno confrontare quel numero con il numero di ricoveri, e con quello delle terapie intensive.

Ci sarà sicuramente qualcuno che al numero di contagi legga immediatamente altre informazioni utili a interpretare il numero, che vede quel numero come il nodo di una rete, ma per tutti noi, che con la matematica abbiamo poca o media dimestichezza, l’importante è capire da cosa deriva quel numero e cosa ci sta dicendo.

L’urgenza di controllarsi

I calcoli da fare sono semplici, e possono darci un ordine di grandezza, e in base a quell’ordine di grandezza una valutazione dei nostri comportamenti.

Lo penso da qualche mese, ma adesso ne sono certa, non dobbiamo chiamare distanziamenti, mascherine e gel alcolici, norme sanitarie, dobbiamo chiamarli norme civili, norme democratiche. Perché è questo che sono.

Non penso ci sia un modo – che non sia negare la vita per ciò che è, essere in relazione – per sfuggire a questo virus che è in mezzo a noi e può entrare dentro di noi, penso però ci sia una prassi per minimizzare la possibilità di contagi.

Questa prassi è noiosa. Impone di pensare ai gesti compiuti, impone di rimanere distanti da amici e amori a cui vorremmo essere vicini, impone di indossare, anche all’aria aperta, una mascherina che rende il respiro faticoso e, mano a mano che passa il tempo, maleolente, impone, di valutare i numeri in relazione ad altri numeri, impone, in un solo verbo (pure riflessivo), di controllarsi.

La nostra capacità di controllo, nelle esternazioni di rabbia, felicità, affetto, o dolore è qualcosa che, come l’abitudine a mettere i numeri in relazione alla vita, si è affievolita.

Il virus si diffonde anche perché pensiamo che controllarci non sia né una possibilità né un modo ma la mera violazione di un diritto. Imparare a controllare i numeri, smettere di considerarli verità o vaticini, è un esercizio che può servire a controllare anche noi stessi.

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