La Federcalcio americana ha raggiunto un accordo storico: le donne e gli uomini della nazionale riceveranno gli stessi compensi per le partite internazionali e i premi saranno divisi equamente. Si tratta di un passo avanti nella parità economica fra uomini e donne nello sport. La notizia, secondo me, è interessante come caso di studio sul mercato e sulla civiltà.

Non seguo il calcio, ma so che chi lo ama è capace di grandi elaborazioni poetiche sul tema. Scegli una squadra fin dall’infanzia, le dedichi tutta la passione di cui sei capace e lo fai per ragioni inspiegabili, occulte. Tutti conosciamo persone anche molto razionali che amano coltivare l’irrazionalità del tifo calcistico. Il calcio è metafora, il calcio è poesia.

Non seguo neanche il rugby, o il basket, diciamo pure che non seguo un bel niente. Abbiate pazienza. Ma so che chi segue uno sport, qualsiasi sport, è capace di provare passioni sconfinate. Pagine di letteratura sul tema, documentari, film. Qualsiasi tifoso dirà che il suo tifo è un fatto emotivo, un fatto che non c’entra con il calcolo e la misurabilità.

Non c’entra col mercato e con i soldi che girano intorno allo sport. Anche se, naturalmente, i soldi sono una conseguenza della popolarità di una disciplina sportiva. È innegabile che più sono intensi e diffusi i sentimenti e gli slanci emotivi, più l’interesse per lo sport sarà capillare, più il mercato diverrà interessante.

Alla ricerca di visibilità

La popolarità di uno sport all’interno di un paese e di una cultura ha solitamente radici storiche tracciabili. E sembra un dato immodificabile. “In quel paese lo sport nazionale è”. Eppure queste cose cambiano, ogni sport cerca di promuoversi, di aumentare la propria presenza all’interno dell’immaginario di una nazione. Per farlo deve ottenere un certo grado di visibilità. Si intende, oggi, visibilità televisiva, sponsorizzazioni.

Uno sport deve farsi conoscere a sufficienza da diventare qualcosa che si guarda come si guarda uno spettacolo che sconfina nel sogno. Deve creare tensione, dibattito, essere materia di emozioni collettive. Deve diventare una storia con un pubblico, un contenuto che riempie le vite. I soldi non sono, in quest’ottica, solo una conseguenza della popolarità dello sport, ma sono anche la causa, il motore della sua popolarità. Come avviene per qualsiasi forma di spettacolo.

Un miliardario può decidere di far rinascere una squadra, può riuscirci, imponendo non solo un sogno ma anche la propria capacità economica. È difficile, ma il denaro può creare delle storie. Il denaro attira l’attenzione, ha un impatto sull’immagine della squadra, dei suoi componenti, della disciplina in generale. Il denaro come sempre ha questa posizione ambigua. Sembra arrivare dopo, esistere perché era inevitabile, perché “c’era un mercato”. E invece no, può avere anche delle responsabilità, assumere un ruolo creativo.

Cos’è lo sport?

In questo senso, la parità dei compensi nello sport è un tema interessante. Molto complesso e da analizzare caso per caso, perché è chiaro che il calcio negli Stati Uniti ha una sua storia emotiva, economica e sportiva. La nazionale femminile americana ha ottenuto risultati indiscutibili, non così si può dire della nazionale maschile. Inoltre, è una nazionale, non un club.

È difficile capire perché le due squadre che rappresentano un paese dovrebbero essere trattate diversamente, soprattutto se una porta più lustro, più emozioni. La disparità economica, dunque, è stata comprensibilmente superata. Ma superarla è stato il risultato di un processo faticoso, non privo di forti tensioni.

Ragioniamo oltre. La popolarità dello sport femminile in generale è spesso un gioco di circoli viziosi. Lo sport inteso come il risultato degli attributi fisici di velocità, forza e altezza nasce per valorizzare il maschile. In un’ipotetica civiltà delle donne forse prevarrebbero sport che spettacolarizzano altre caratteristiche più forti nel femminile, come la flessibilità, l’equilibrio, il tempismo e anche – volendo – la leggerezza e le piccole dimensioni fisiche.

Ma a parte queste riflessioni su quello che potrebbe essere ma non è, è chiaro che, restando nel concreto, se una sportiva è pagata meno, e ha meno visibilità, e può allenarsi meno perché deve anche fare un lavoro normale per vivere, la sua capacità di dare il meglio di sé e di farsi conoscere sarà molto ridimensionata.

Cos’è lo sport? È solo una metafora della guerra travestita da intrattenimento? È, invece, quella poesia di cui ogni tifoso parla? È civiltà? È il modo in cui educhiamo i nostri figli e le nostre figlie? È ispirazione? È per tutti? Per alcuni? In un mondo diverso, più equo, io sarei una tifosa? Sarei mercato?

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