Destra e sinistra, liberali e populisti: questi, si dice, sono gli assi sui quali i partiti si dividono in Italia. Un caso recentissimo induce piuttosto a chiedersi se essi perseguano l’interesse generale.

Il governo di Mario Monti abbassò il limite all’uso del contante a mille euro. Il governo di Matteo Renzi lo triplicò. Il governo Draghi lo ha ridotto a 2mila euro, e da gennaio a mille. Ma il 17 febbraio Lega, Forza Italia e FdI hanno unito i propri voti per rialzarlo a 2mila.

Le giustificazioni – «favorire l’economia reale» – sono parole vuote, come quelle che il Pd inventò nel 2015. Né la letteratura economica né la crescita anemica che seguì la triplicazione del limite suggeriscono effetti apprezzabili.

È vero, come dice Matteo Salvini, che in Germania «non hanno limiti e vantano un’evasione inferiore a quella italiana». Ma la logica ruota in senso inverso: è perché hanno molto meno evasione, e usano molto di più i pagamenti elettronici, che possono permettersi di non avere limiti (caso singolare in Europa, peraltro, presumibilmente dovuto alla peculiare avversione dei tedeschi – legata al ricordo della Gestapo e della Stasi – a ogni intrusione dello stato nella sfera privata).

Freno all’evasione

Contrastare l’evasione di massa e l’economia sommersa è proprio il senso dei limiti al contante, e uno studio empirico pubblicato dalla Banca d’Italia – Pecunia olet, 2021, che disseziona gli effetti della triplicazione – ne attesta l’efficacia.

Giuseppe Conte ha citato questo studio per criticare le destre. Ben detto; ma il suo primo governo fece un condono fiscale, voluto dalla Lega, e un condono edilizio, voluto dai Cinque stelle.

Il vero tema è l’illegalità diffusa, infatti, che è una delle maggiori cause del declino dell’Italia. Contrastarla è un obiettivo delle grandi riforme orizzontali – giustizia e pubblica amministrazione, soprattutto – del Pnrr.

Attuarle significa persuadere milioni di cittadini e imprese a cambiare i propri comportamenti, e per questo è essenziale che siano percepite come credibili. Ma uno stato che si gingilla col limite al contante, abbassandolo e rialzandolo senza giustificazione plausibile, incrina gravemente la propria credibilità di fronte ai cittadini, che vedono la tolleranza per l’illegalità e ne traggono le ovvie conseguenze.

Il senso dei rialzi, ragionando caritatevolmente, potrebbe essere l’intenzione di non sfavorire troppo l’evasione spicciola e il sommerso, che agevolano anche segmenti dei ceti deboli, e alimenterebbero la domanda aggregata. Ma di fronte agli effetti che ho appena ricordato questa scelta somiglia a quella di chi, mosso a compassione, allunghi un bicchiere di whisky all’alcolista che tenta di curarsi.

Perché esistono anche modi civili per proteggere i deboli e stimolare la crescita; e l’inveterata tendenza a scegliere invece la via deteriore, poiché quella virtuosa pare troppo lunga, è un’altra delle cause del declino.

Sopra ho evocato l’interesse generale. Non ne esiste una definizione completa e condivisa, naturalmente, ma alcune cose sono manifestamente contrarie a esso.

I due rialzi sono un esempio: su questo tema – e altri, come le licenze balneari e i superbonus edilizi – tutti i partiti principali hanno consapevolmente ignorato l’interesse generale. Distinguerli sulla base di come i loro proclami si collochino sugli assi destra/sinistra e populisti/liberali rischia di essere tanto utile quanto differenziare tra soprani a seconda del colore dei capelli.

Re Lear suggerisce che il male, quando si radica, non è sconfitto dal bene ma si distrugge da sé, lasciando solo rovine. I partiti italiani non sono il male. Sono però largamente privi di radici nella società, di organizzazione democratica, di cultura politica e di idee: sicché sono vulnerabili agli interessi particolari – evasori, balneari ed edilizia sono gli esempi più banali – e capaci non di riforme ma di distribuire sussidi. Non sono il male, quindi, ma spesso lo fanno, e rischiano di lasciarci tra le rovine. Servono partiti nuovi, o rinnovati, e pressione dal basso per incalzarli.

Andrea Lorenzo Capussela è autore di Declino Italia, Einaudi 2021, e di The Political Economy of Italy’s Decline, Oxford University Press 2018.

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