Se un giocatore non lo si giudica da un calcio di rigore, ma «dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia», in egual modo un partito che vince lo vedi da come spende il suo primato.

Il Pd di Enrico Letta pare averlo compreso. Ha capito che la destra esce malconcia avendole sbagliate tutte, però sa che non sono tanto ingenui da proseguire verso il burrone. Detto che a destra hanno perso una battaglia e non la guerra, al partito maggiore spetta indicare uno sbocco politico per quando la transizione in atto, un governo di eccezione, completerà il mandato. Letto così il voto nelle città rende più urgente costruire una alternativa credibile a quella destra anche per la futura sfida di governo. In questo la strada migliore credo sia rendere il Pd sempre più la forza capace di federare altri. Diciamo pure che senza quel partito un’alternativa vincente a Salvini-Meloni non è data, ma solo il Pd non è in grado di crearla e farla vivere. Il nodo è qui. E qui si misurano gli scenari possibili.

Uno sta nell’immaginare un bipolarismo svincolato da accordi preventivi. Tradotto: la futura maggioranza si formerà nel parlamento che gli italiani eleggeranno. Ciascuno raccolga il consenso che sa in uno schema simile alla Germania col Pd nei panni della Spd. Nel caso nostro, gli interlocutori sarebbero un’anima della sinistra (quella oggi al governo), il movimento di Giuseppe Conte e una pattuglia centrista in grado di attrarre di qua il pezzo più moderato della destra. A quel punto riproducendo la maggioranza di oggi, senza la Lega. C’è chi questa strategia coltiva in modi espliciti invocando una legge elettorale proporzionale e accantonando ogni riferimento a un nuovo Ulivo e operazioni simili.

Esiste un’altra strada? Penso di sì: investire su uno schieramento largo, personalità forti, programmi centrati sulla vita delle persone. Scansare alchimie e restituire a un pezzo di paese l’orgoglio di sentirsi “parte” sulla base di princìpi e progetti condivisi. Al fondo l’Ulivo fu questo. La risposta alla più severa sconfitta della sinistra negli anni Novanta si concretizzò in una coalizione capace di ricompattare sinistra e centro e in una alleanza sociale che saldò interessi del lavoro, dell’impresa, della cultura a cominciare dalla scuola. Il tutto coinvolgendo profili di spessore e col sostegno del maggiore gruppo editoriale di riferimento.

Penso che per battere la destra di adesso abbiamo bisogno di una chiave altrettanto ambiziosa, ma per riuscirci bisogna che il Pd recuperi energie che se ne sono andate o che prima di ora non siamo mai riusciti a coinvolgere. Quindi un processo costituente per un partito che (anche attraverso le Agorà) quando evoca un campo aperto lo fa prima di tutto guardando a sé stesso. E, assieme, indicando le priorità, nell’azione del governo.

Che significa, per dire, entrare nel merito della delega fiscale perché se nessun italiano pagherà un euro in più si cancella la possibilità stessa per una maggioranza di pagare molto meno. Significa che su mille tipologie contrattuali oggi oltre un terzo sono fasulle e allora il Patto per le riforme implica una legge sulla rappresentanza, ammortizzatori universali, superare il gender gap dei salari e garantire una formazione nei nuovi contratti.

Esempi di quel profilo che può consentire a chi ha appena vinto la sfida sui sindaci di tenere assieme un asse politico, un programma e la conferma di una rinnovata centralità. Tutte cose decisive quando si tratterà di non sbagliare il nostro calcio di rigore perché su quello, piaccia o meno, saremo giudicati. 

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