«Pasqualino, Pasquale, non era solo un giornalista, era un interlocutore politico». Massimo D’Alema vorrebbe sottrarsi al ricordo di Pasquale Laurito, che se n’è andato ieri a 98 anni. Perché, riflette al telefono dalla Germania dove ha tenuto un seminario sulla Palestina (ma questa sarebbe un’altra storia, non quella affettuosa di cui gli chiediamo) «parlare di lui significa rievocare una pagina di storia italiana».

Laurito ha fatto per ottant’anni il cronista parlamentare, è il decano a cui deve di più chiunque abbia provato a orientarsi in Transatlantico. «La nostra Repubblica è nata dalle lotte antifasciste, cari colleghi non vi fate infinocchiare dai nuovi leader che parlano a vanvera», ci aveva ordinato alla festa organizzata da Stampa parlamentare per i suoi 90, che erano anche gli 80 del collega e compagno carissimo Giorgio Frasca Polara. Cosentino, comunista, antifascista e credente, Laurito ha scritto dell’Italia attraverso le cronache e le storie di palazzo, da Paese sera all’Ansa. Ma a fine anni 70 si era inventato Velina rossa, un’agenzia in cui svelava gli interna corporis di quella (sua) parte politica e dei suoi leader di turno.

E qui D’Alema è ineludibile perché di quella sinistra è stato uno dei leader più longevi, e spesso il meno ciarliero. La Velina ne rivelava gli arcani, a suo modo. «Era uno dei pochissimi giornalisti con i quali ci poteva essere un dialogo», ricorda il presidente con commozione, «Ma qualche volta era rischioso. Perché lui, che viveva con passione il suo giornalismo militante, cercava una tua dichiarazione, e se non la trovava ti faceva dire quello che lui riteneva giusto tu dicessi in quel momento».

Non erano precisamente falsi, erano verità che per lui andavano dette, «veniva da te e se tu non le dicevi provvedeva lui». «Sappiamo quanto possa essere spietato il Transatlantico, popolato da squali e tonni, secondo una definizione di uno che nuota bene in quelle acque (Augusto Minzolini, ndr), dove i tonni erano i politici che si facevano sfuggire frasi infelici. Ma Pasquale, che è stato uno dei maggiori professionisti di questo mondo, non è mai stato uno squalo. Per questo è sempre stato circondato da grande rispetto».

Si sono voluti bene, con D’Alema, anzi Laurito diceva spesso scherzando (ma noi che lo ascoltavamo sappiamo che non scherzava) di essere “l’ultimo dei dalemiani”. D’Alema si schermisce, «gli ho sempre detto che questa categoria non l'ho mai apprezzata, era una di quelle cose da cui derivavano solo guai», ma Pasqualino non si impressionava e così «mi ritrovavo ad essere responsabile di dichiarazioni frutto di conversazioni in cui io rispondevo: caro Pasqualino – era caro, ma pericoloso – sono d'accordo con te, ma una cosa è che tu ed io siamo d'accordo, altra è che questo circoli come mia opinione, ci sono opinioni anche giuste che è meglio non far circolare» perché «come scriveva Baltasar Gracián, la politica comporta quel tanto di dissimulazione onesta», e nel concreto «il fatto che Pasquale desse voce ai miei pensieri talvolta mi creava problemi, di solito erano battutacce contro qualcuno». Non dice chi: per non dare soddisfazione postuma a quel qualcuno.

Se ne va dunque non l’ultimo dei dalemiani ma uno degli ultimi cronisti politici di quella gran razza: «Non voglio fare la parte degli anziani che evocano il passato, né apparire spregiativo verso i contemporanei», figuriamoci, «ma lui, Frasca Polara e pochi altri, sono stati protagonisti di un mondo a cui non si può non pensare con nostalgia. C'era della moralità in quel tipo di giornalismo che non nascondeva le sue opinioni, quindi si dichiarava, ma aveva il senso di una funzione sociale, una responsabilità pubblica. Dovrebbe essere di lezione. Oggi questo non lo ritrovo», «corregga per favore: oggi si sente meno», «Alla base del lavoro di Pasqualino non c'era la ricerca dello scoop ma la partecipazione, qualcosa che lo muoveva come cittadino prima che cronista. Più una grande finezza umana. Infatti, proprio per questo, poi faceva anche gli scoop». I funerali cattolici di Pasquale Laurito si celebrano oggi, sabato 8 marzo a Roma, nella Chiesa di Santa Emerenziana alle 15.

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