Ve la ricordate la Pedemontana lombarda? Non è da escludere che nell’incontro di qualche giorno fa, tra Mario Draghi e Matteo Salvini, si sia parlato oltre che di green pass,  di sbarchi e dimissioni dell’ex sottosegretario leghista Claudio Durigon, anche dello sblocco (cioè del finanziamento pubblico) di Pedemontana lombarda.

Il capo della Lega avrebbe chiesto, in cambio delle sue concessioni, i finanziamenti per Pedemontana, visto che da anni è ferma e minaccia la sua credibilità.

L’esito dell’incontro ha suscitato stupore.  La regione Lombardia ha annunciato che, grazie alla collaborazione del governo  (i precedenti non volevano più saperne di questo progetto costosissimo e faraonico), si sono trovati i finanziatori di 1,7 miliardi mancanti per il completamento dell’autostrada che dovrebbe tagliare in due la Brianza.

Qualcosa di più di una collaborazione (come afferma la regione Lombardia, si tratta di un prestito che uscirà dalle tasche degli Italiani grazie al via libera dato da Draghi e annunciato dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani al maxi-finanziamento da parte della Cassa depositi e Prestiti e della Bei.

Il progetto sbagliato

L’autostrada di 67 chilometri dovrebbe collegare le provincie di Varese, Monza, Milano e Bergamo. Dopo sei anni di vana ricerca, si sono trovati i finanziatori pubblici, non quelli privati annunciati nel sedicente project financing all’italiana, architettato per approvare  l’opera.

Dopo svariati tentativi la realizzazione dell’opera è stata assegnata al Consorzio (Wibuild/Pizzarotti) ancor prima del closing finanziario. Restano ora da realizzare le tratte B2 (12,7 chilometri) e C (20chilometri).

Avviata grazie al federalismo dei trasporti, una dozzina di anni fa, per volontà della Lega, di Roberto Formigoni e dei suoi uomini di Comunione e Liberazione.

L’infrastruttura  è ferma da cinque anni dopo aver aperto  solo tre mini tratte per un totale di 23 chilometri sui 57 chilometri previsti, a cui vanno aggiunti 90 chilometri di viabilità locale accessoria.

Sul filo di lana nel 2017, il tribunale di Milano ha respinto la richiesta di fallimento presentata nei confronti di Pedemontana lombarda.

La società era stata accusata di un forte indebitamento nei confronti di banche e fornitori, ma la società autostradale ne è uscita  grazie agli sforzi  della regione e al (costoso) contributo di vari istituti di credito, che hanno trasformato un prestito di duecento milioni di euro (scadenza 2018) in un mutuo con scadenza nel 2034, garantito dalla stessa regione.

La rianimazione con fondi pubblici

Piero Cruciatti / LaPresse

Per rianimare Pedemontana,  la Regione Lombardia, diventata anche azionista di controllo,  ha poi  sborsato 350 milioni di aumento di capitale e trasformato un prestito una garanzia di 900 milioni del 2017 per non farla fallire di nuovo.  

Per rianimare la concessionaria lombarda è stata adottata  la soluzione più comoda,  presa a suo tempo anche per la Brebemi. Anche la Brebemi doveva  essere finanziata  con un project financing ma, è stata realizzata, solo grazie ad un maxi-prestito  di 1,8 miliardi (2,4 miliardi con gli interessi) da parte di banche pubbliche la Bei e la Cassa Depositi Prestiti, che si sono assunte tutti i rischi.

Completata da sei anni, la Brebemi ha il traffico di una modesta strada provinciale. Ha chiuso tutti i suoi bilanci in rosso e non ha ancora cominciato a pagare i mutui contratti.

La Pedemontana invece, ha divorato 1,2 miliardi di contributi statali a fondo perduto (tratto distintivo del federalismo lombardo) solo per realizzare 23 chilometri (costo record di 56 milioni a chilometri).

Poi si è incagliata. Non si sono però incagliate le assunzioni, visto che conta 120 addetti per gestire 23 chilometri di autostrada. Incredibile, visto che non ci sono neppure i caselli per il pagamento dei  pedaggi.

La fuga dei finanziatori

Chissà perché si sono avvicendati al timone della concessionaria una decina di presidenti in 10 anni, tra cui l’ex ministro Antonio Di Pietro. Il mercato finanziario, in più di una occasione, ha mostrato di non aver fiducia nel progetto.

Ciò vista la crescita dei costi, l’allungamento dei tempi, gli enormi problemi ambientali da superare (l’attraversamento di Seveso impestata dalla diossina) e il traffico che era stato largamente sovrastimato per giustificarne l’attuazione. 

Le banche private non si sono prese questo rischio, non credendo alla promessa che l’opera  si sarebbe ripagata con i pedaggi. In questo periodo di stop dei lavori si è visto di tutto.

Compreso il fatto che 25 mila cittadini e aziende hanno i loro beni bloccati dal lontano 2009.

Secondo le norme in vigore, se non vengono pagati entro sette anni, il vincolo decade. Con proroghe illegittime, questi cittadini sono privati dei loro beni da dodici anni anni.

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