Per la stampa è subito diventato “il Ronaldo dei banchieri” e il suo arrivo a Unicredit ha scatenato le ipotesi sulla campagna acquisti che metterà a segno: Mps, forse Bpm e magari Mediobanca. Visti i risultati della Juventus, gli azionisti sperano che l’analogia fra Andrea Orcel e il calciatore non si fermi allo stipendio, che ha già provocato qualche mugugno.

Le acquisizioni sono considerate la strada maestra perché Unicredit (Ucg) chiuda il gap di valore con Intesa: capitalizza infatti 20,5 miliardi, meno della metà della concorrente, nonostante attivi simili. La dimensione però non è di per sé un obiettivo, ma la conseguenza della redditività prospettica, e le acquisizioni sono utili solo se servono ad accrescerla.

Se Ucg vale in Borsa metà di Intesa, specie rispetto alla dimensione dei rispettivi patrimoni (0,36 il rapporto tra capitalizzazione e patrimonio per Ucg contro lo 0,71 di Intesa) è perché la redditività del suo capitale tangibile atteso per il 2021 è la metà (3,4 per cento contro 7), e ha un rapporto costi/ricavi atteso superiore (57 per cento rispetto a 53). Il vero problema di Ucg è la scarsa redditività ed efficienza.

Se per esempio Orcel raddoppiasse la redditività delle attività esistenti e tagliasse i costi in linea con le migliori banche in Europa, probabilmente raddoppierebbe il valore anche senza acquisizioni. La strada delle acquisizioni inoltre è irta di rischi per le difficoltà intrinseche nella gestione delle fusioni, oltre a distrarre dalle pulizie a casa propria.

Ucg è l’unico possibile compratore di Mps: ha le dimensioni per usufruire pienamente dei cospicui crediti di imposta della banca senese e del badwill (l’utile contabile come differenza tra patrimonio netto e prezzo pagato).

Quindi, se lo Stato volesse finalmente chiudere l’ennesimo salvataggio senza fine, Orcel avrebbe il coltello dalla parte del manico nella trattativa per la dote di Mps. L’acquisizione avrebbe un impatto positivo sul capitale e sui coefficienti di Ucg, ma rimarrebbe il problema della ristrutturazione delle due banche che la fusione comporta.

L’ipotesi Mediobanca

Poco sensata, non per questo poco probabile, l’idea che è circolata di una scalata a Mediobanca per riprendersi quello che il precedente ad di Ucg, Jean Pierre Mustier, aveva venduto (asset management, online banking) e rafforzarsi nell’investment banking. Un’offerta pubblica di scambio ha più facilmente successo se l’offerente quota in borsa a multipli più elevati della società obiettivo (i suoi azionisti ricevono in cambio titoli che valorizzano maggiormente utili e patrimonio, come è stato nel caso di Intesa con Ubi): qui è l’opposto visto che, tenuto anche conto del premio che Ucg dovrebbe ragionevolmente pagare, Mediobanca vale rispetto al patrimonio il triplo dell’offerente.

Un’offerta pubblica aprirebbe poi alla possibilità di offerte concorrenti da parte di chi, come i grandi del private equity, ha molte più risorse di Ucg e più facilmente guadagnerebbe da un break up di Mediobanca.

Dovendo pagare un cospicuo premio per il controllo diventerebbe un’acquisizione troppo indigesta per Unicredit (già ora Mediobanca vale il 40 per cento di Ucg). Né garantirebbe economie di scala tali da produrre un sostanziale aumento di redditività: il wealth management di Mediobanca conta per appena il 9 per cento delle commissioni totali di Ucg, e meno del 15 per cento i ricavi da investment banking.

Quanto al credito al consumo sarebbe sorprendente che una grande banca internazionale come Ucg dovesse acquistarlo invece di svilupparlo internamente. Come al solito tutto ruota alla fine intorno alla partecipazione che Mediobanca ha in Generali: la strada della bancassurance per Ucg non è irragionevole, anche se non c’è una chiara evidenza che sia sempre vantaggiosa. Ma impossibile con solo il 13 per cento (la quota di Mediobanca); né Ucg avrebbe le risorse per acquisire il controllo di Generali; e la vendita di alcuni asset assicurativi per ridurne il prezzo è fattibile in teoria, ma troppo tortuosa rispetto all’alternativa di comprare direttamente una delle tante realtà assicurative di medie dimensioni in Europa.

Un’acquisizione di Bpm avrebbe più rischi che benefici. In Borsa quota a un multiplo similare a Unicredit ma ha una struttura di costi maggiore (costi/ricavi attesi al 61 per cento) e una redditività inferiore (rendimento sul capitale tangibile atteso di appena il 2 per cento).

Un’acquisizione comporterebbe dunque un grande sforzo di ristrutturazione e integrazione: come per Mps, ma senza dote. E per evitare le negoziazioni infinite sulla spartizione di poltrone che troppo spesso caratterizzano le fusioni bancarie, Orcel dovrebbe lanciare un’offerta ostile (modello Intesa-Ubi) rischiando di pagare un premio eccessivo.

Più che un Ronaldo e operazioni straordinarie, forse a Ucg servirebbe un mediano vecchio stampo alla Furino, che si sacrifichi a mezzo campo, senza la gloria del gol, per tagliare costi e rendere più efficiente la banca.

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