L'inesperienza al governo costa cara; il conto lo paga il Paese. Sono tanti casi, se ne potrebbe fare un'antologia. I più noti, e longevi, sono Ilva e Alitalia, su cui troppo ci sarebbe da dire e tanto s'è già detto. Iniziamo invece l'antologia da Autostrade per l'Italia (Aspi), società  controllata, per il tramite della finanziaria Atlantia, quotata sul mercato, da Edizione, finanziaria della famiglia

Benetton. Tutto parte dal modo impulsivo con cui il governo Conte 1 reagì alla tragedia del Ponte Morandi nell’estate 2018, annunciando in diretta la revoca della concessione ad Aspi. Da questo inizio, come dal famoso primo bottone mal allacciato nel cappotto di cucciana memoria, tutto discende.

Da quasi due anni e mezzo siamo appesi ad una commedia - nata da una tragedia - oscillante fra la revoca della concessione, che infiniti addurrebbe lutti al contribuente, e un accordo che, fingendo di bastonare i Benetton, invece graziosamente li remunera.

È mirando a questo secondo, e per lei più fausto, esito che Edizione ha appena nominato presidente Enrico Laghi, stimato docente romano onusto di incarichi pregressi e attuali, pubblici e privati.

"I comunicati di Aspi alludono, quasi sfacciatamente, alle buone relazioni con governo e amministrazione pubblica di Laghi; egli ha sostituito il più ruvido Gianni Mion, esperto manager, storicamente “collante” fra i quattro rami dei Benetton, ormai in aperto contrasto fra loro.

Partita dal bottone sbagliato del cappotto, anche dopo la nomina di Laghi la vicenda viaggia verso un intrico giuridico che sembra scontentare tutti, ma non farà davvero male a nessuno. Gli elementi principali del pasticcio sono: in che modo (scissione, cessione o altro) avverrà, e a che prezzo, l'uscita di Edizione da Aspi; l'entità dei futuri oneri di manutenzione di questa e se essi debbano gravare sugli utenti (andando in tariffa) o sui profitti del concessionario, da cui provengono i profitti di Atlantia e i dividendi a Edizione; la garanzia verso i nuovi soci per le responsabilità civili che emergeranno nel crollo del Ponte.

Vedremo come i nodi si scioglieranno, ma l'esito verso cui si va non era obbligato; un altro esito era possibile, adatto però ad un'Italia più portata al risultato pratico e indifferente alle pantomime teatrali.

Non revoca ma revisione

In attesa delle sentenze penali, che potrebbero modificare radicalmente il quadro, ci sono già tutti gli elementi per dichiarare Aspi gravemente carente negli obblighi di manutenzione. Se si dà ciò per assodato, l'altra via è chiara.

Non revoca, almeno allo stato, ma revisione del contratto, con drastiche modifiche sul modo di calcolo degli aumenti dei pedaggi, sulla remunerazione degli investimenti - non già quelli in programma, ma quelli davvero fatti - riportandone la remunerazione a livelli coerenti con i tassi di mercato.

Il tutto soggetto a controlli pubblici finalmente penetranti ed effettivi, modificando alla radice il quadro attuale; esso vede la storica sudditanza del concedente, uno stato squattrinato, al concessionario, che della ricchezza pubblica sempre tende, se non sorvegliato, ad appropriarsi. Questo sì avrebbe “messo in riga”, in modi giuridicamente ineccepibili, quel gruppo che, dopo aver ben agito nel secolo scorso, ha poi visto Aspi sempre più come un bancomat che non era necessario ricaricare.

Ora saranno definite la nuova compagine e le sue modalità di ingresso, corrispondenti a quelle di uscita della finanziaria Edizione; andranno in qualche modo sbloccate le partite degli oneri di manutenzione e della manleva, con conseguenze ovviamente rilevanti sul prezzo di cessione. S'andrà poi alla cerimonia, officiata da Laghi, che qui rappresenta una parte ma ha fama di esperto super partes; essa vedrà i Benetton incassare, per l'uscita da Aspi, una remunerazione non disprezzabile.

Insieme alla pattuglia dei potenti investitori soci di minoranza di Atlantia, essi potranno però in futuro sostenere, fondatamente, d'esser stati costretti alla vendita dal “ricatto” di un governo che, agitando la minaccia di una revoca costosissima e dal fondamento giuridico dubbio, pretende di decidere chi possa comprare Aspi e a che prezzo. Se si agisce così, non c'è Invitalia che possa incentivare gli investimenti esteri.

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