Come previsto, la contesa commerciale fra la media company francese Vivendi e Mediaset si muta in contesa fra due Stati sovrani sull'applicazione domestica delle leggi della Ue. Tutto nasce quando Vivendi, controllata dal raider Vincent Bolloré acquista, oltre al 24 per cento di Tim, il 29 per cento di Mediaset, controllata al 44 per cento da Fininvest.

L'acquisto del 29 per cento, sulle cui modalità indaga la procura di Milano, era ovviamente ostile, venendo dopo Ia rottura degli accordi per il passaggio a Vivendi di Mediaset Premium, rete a pagamento dai magri risultati.

Mediaset reagisce all'attacco (2016) ottenendo dall'Agcom, in applicazione della legge Gasparri, la sterilizzazione dei diritti di voto di Vivendi sulle azioni eccedenti il 10 per cento; il 19 per cento viene sterilizzato in una fiduciaria.

Da tempo Mediaset progetta una riorganizzazione che prevede la fusione con le attività spagnole e il trasferimento della capogruppo in Olanda, per valersi dei diritti di voto maggiorati là previsti. Vivendi, che la osteggia, ricorre alla Corte Europea di Giustizia (Ceg); votando con tutto il suo 29 per cento in assemblea straordinaria la boccerebbe, mentre il solo 10 per cento non la impedirebbe.

Tre mesi fa la Ceg dà ragione a Vivendi; pur condividendo i timori sul pluralismo dei media sottesi alla norma, essa la definisce non proporzionata all'obiettivo e di potenziale ostacolo alla libertà d'impresa nella Ue.

Spetterebbe poi al Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio recepire gli effetti della sentenza. Davanti al rischio che Vivendi torni in possesso di tutti i diritti di voto affondando l'operazione, il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli confeziona un ordigno giuridico e lo passa alla relatrice del provvedimento in Senato, Valeria Valente (Pd), che presenta come proprio un emendamento ad un decreto legge Covid.  Approvato anche alla Camera, esso è ora in vigore; per bloccare il recepimento della sentenza Ceg, dà sei mesi all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per esaminare i soggetti operanti «contemporaneamente nei mercati delle comunicazioni elettroniche e in un mercato diverso, ricadente nel sistema integrato delle comunicazioni, anche attraverso partecipazioni in grado di determinare un’influenza notevole», verificando «la sussistenza di effetti distorsivi o di posizioni comunque lesive del pluralismo sulla base di criteri previamente individuati...».

Si noti la perla semantica semi-nascosta nell'avverbio «previamente» sfido chiunque, fossero pure i brillanti giuristi dell'Agcom, a disegnare previamente a quali contorni debba adeguarsi un'operazione già realizzata.

©Marco Lussoso/LaPresse 29-05-2008 Milano varie La sede Mediaset di Cologno Monzese Nella foto: La sede Mediaset di Cologno Monzese, dove sono situati gli studi televisivi di Rete 4.

La burocrazia fulminea

Vivendi ha fatto un esposto contro la norma alla Commissione Ue, che ce ne ha già chiesto conto:  definendola “norma tecnica”, afferma che Roma avrebbe dovuto perciò notificarla, stavolta sì previamente, a Bruxelles. Ne discende l'invalidità della norma, non conforme al diritto della Ue.

La nostra risposta, intinta ovviamente nel giuridichese, contesta la natura “tecnica” della norma. Per sicurezza, ieri il Tar del Lazio, pilastro portante del nostro conservatorismo istituzionale, s'è adeguato alla richiesta dell'Avvocatura dello Stato di rimandare la decisione sul recepimento della sentenza Ceg.

Dando prova di una prontezza che non le si conosceva, l'Agcom ha invece aperto l'istruttoria prevista dall'emendamento Valente. Così, in una tela di ragno, fra accelerazioni improvvise e frenate prolungate, va imbrigliata Vivendi. Ora se tutto va secondo copione essa per almeno sei mesi non potrà votare con il 29 per cento; Mediaset avrà la strada spianata per realizzare la ristrutturazione societaria senza le briglie cui altri devono sottostare. Ma, insomma, Vivendi non si agiti tanto, potrà comunque chiedere al Tar di impedire la Straordinaria!

Come se fosse difficile per Mediaset far valere, davanti a un organo così attento ai desiderata governativi, il diritto a perseguire i propri piani senza attendere tempi lunghi. Questi potrebbero svanire proprio nella nebbia se l'Agcom chiedesse, fra sei mesi, una proroga, magari proprio per la difficoltà di individuare, previamente s'intende, i criteri da adottare a difesa del pluralismo, tenendo «conto fra l'altro dei ricavi, delle barriere all'ingresso» ecc. fosse facile!

Mediaset potrà ora concepire altre delibere di assemblea straordinaria da approvare contro la minoranza impossibilitata a votare, sotto l'usbergo del duo Tar/Agcom e il benevolo occhio delle forze politiche.

Per “salvare” Mediaset da una speculazione commerciale, ci stiamo imbarcando in un'operazione insensata; Bolloré è un raider, vero, ed è vero che la Francia a parti rovesciate farebbe forse lo stesso. Ma se Parigi mena più forte di Roma, la nostra difesa sta nel confronto dentro tali norme. Chi è debole, ma realista si difende dentro la legge, non facendo a botte fuori nel cortile.

Con la Francia abbiamo temi di grande rilievo su cui collaborare; da Fincantieri/Chantiers de l'Atlantique ad una vera unione bancaria, con l'assicurazione europea dei depositi e una società europea di gestione dei crediti deteriorati, su cui si tornerà.

Invece mettiamo a rischio questi grandi temi per difendere da un raider un'impresa ormai marginale in un panorama dei media rivoluzionato. Per non parlare della rete unica, sulla cui realizzabilità Bruxelles nutre seri dubbi. C'è da chiedersi se Roma se ne renda conto.

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