In Italia, giustizia e pubblica amministrazione sono note per operare in tempi biblici e sulla base di norme spesso astruse. Gli esempi sono tali e tanti che uno in più non sarebbe degno di nota; ma mi sono imbattuto in un caso veramente curioso. Un amico mi ha mostrato un decreto di citazione urgente da parte dell’Unep (Ufficio notificazioni esecuzioni e protesti) per conto della procura della Repubblica, notificato affinché compaia come testimone davanti al tribunale di Milano.

Dopo avergli ricordato che dovrà «rispondere alle domande secondo verità» (per la burocrazia l’ovvio non esiste), il decreto avverte che «in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento sarà condannato al pagamento della somma da lire centomila a lire un milione» (per evitare equivoci, “lire” è specificato due volte). Niente di strano se il decreto non fosse datato 21 ottobre 2021: vent’anni dopo che la lira è andata fuori corso. Ignoranza della procura di Milano? Impossibile, perché il decreto è firmato dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, responsabile di un Ufficio che ha gestito alcune tra le più importanti inchieste finanziare degli ultimi anni, ed è quindi sicuramente al corrente dell’esistenza dell’euro.

Il garantismo

E poi in Italia vige il sacro principio del garantismo: non si può fare nulla, men che meno una procura, che non sia specificato da una norma; anche se la norma rasenta l’assurdo. In effetti è così: l’articolo 142 della decreto legislativo 271 del 28 luglio 1989 specifica il testo esatto di tutti i decreti di citazione della Repubblica italiana, incluso l’importo in lire dell’eventuale ammenda da comminare. Poiché la giustizia deve applicare la legge rigorosamente, non spetta a lei chiedere al legislatore di cambiare il testo di una norma perché le lire non esistono più.

Quando fu emanata la legge in effetti la moneta legale era la lira, e il legislatore non poteva sapere che l’Italia avrebbe firmato tre anni dopo un trattato che avrebbe introdotto il corso legale dell’euro. Non ci voleva però una grande lungimiranza per stabilire alla vigilia della moneta unica, con apposita norma, che tutte le ammende espresse in lire venissero convertite in euro dopo lo storico passaggio. Ora però si apre una questione spinosa: se il mio amico non si fosse presentato a testimoniare e gli fosse stata comminata l’ammenda, avrebbe potuto opporre alla procura di Milano il “legittimo impedimento” a pagarla in quanto impossibilito a farlo in lire? E se la procura gli avesse a sua volta opposto il dovere di farlo per l’equivalente ammontare in euro, poteva il mio amico obiettare che nel nostro paese non vige la common law e che quindi la giustizia non può interpretate la legge ma deve applicarla alla lettera? Purtroppo, non dispongo delle conoscenze e competenze necessarie a dirimere una così vitale questione.

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