Il governo sta valutando il modo in cui arginare quella che ormai è definita una “strage” di lavoratori, dato il susseguirsi di infortuni sul lavoro con esito anche mortale. Può essere utile valutare ex ante le misure cui si intende ricorrere.

Serve «collaborazione all’interno dell’azienda per individuare precocemente le debolezze in tema di sicurezza sul lavoro», ha detto Draghi, riprendendo la proposta del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, circa la costituzione di «comitati di lavoratori e impresa» per rafforzare il monitoraggio attraverso il concorso dei soggetti coinvolti.

Questa misura non costituirebbe una innovazione. Il cosiddetto Testo Unico Salute e Sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008) già prevede in azienda una figura, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (nelle aziende di maggiori dimensioni possono essere anche più persone), che ha il compito di «rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza» e confrontarsi con datore di lavoro, sindacati e istituzioni.

Il RSL, in particolare, ha contatti con il “dirigente”, che «attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa», nonché con il “preposto” che, tra l’altro, deve «vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi» in materia di sicurezza e segnalare tempestivamente «sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo».

Il RSL, tra le altre cose, è consultato «in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione»; «promuove l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione»; «avverte il responsabile della azienda dei rischi».

Soprattutto, il RSL «può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute».

Insomma, una sua denuncia potrebbe ridurre il rischio di infortuni. Dunque, prima di costituire una nuova struttura - il «comitato di lavoratori e imprese» - che andrebbe a sovrapporsi ad altre già esistenti, occorrerebbe fare in modo che queste ultime funzionino al meglio e, se non funzionano, comprenderne i motivi e porvi rimedio, anziché creare duplicazioni.

Quando ha parlato di “comitati”, Draghi ha anche detto che i lavoratori i quali vorranno parteciparvi «non saranno responsabili di nulla». Ma anche questa non è una novità: già attualmente, ai sensi del Testo Unico, «il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell'incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi e degli spazi necessari»; inoltre, «non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali».

Le sanzioni

Tra le proposte in campo per arginare gli infortuni sul lavoro c’è anche quella di «pene più severe ed immediate» per le aziende che violano le norme in tema di salute e sicurezza. Il Testo Unico prevede sanzioni di tipo penale, civile e amministrativo, a carico dei diversi attori coinvolti nella gestione della prevenzione e protezione, inclusi i lavoratori, e nell’aprile 2019 alcune di esse sono state inasprite.

Detto ciò, un grande classico italiano è pensare che l’aumento delle sanzioni abbia sempre un effetto deterrente. Così dovrebbe essere in un sistema che funziona, ove cioè si fissano le regole, poi le conseguenze per la loro violazione, quindi un apparato di controlli finalizzati all’irrogazione delle sanzioni. Ma quest’ultimo è l’anello debole del sistema. È inutile aggravare le pene nei riguardi di chi sa che difficilmente saranno comminate, date le carenti verifiche circa gli inadempimenti.

Come detto in una intervista dal nuovo responsabile dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (Inl), Bruno Giordano, alcune delle norme più importanti del decreto istitutivo dell’Inl (d.lgs. n. 149/2015), «come il coordinamento dei servizi ispettivi di Inps e Inail, devono ancora essere attuate», e ciò preclude «controlli incrociati»: «ogni ispettore guarda alla materia di sua competenza e il coordinamento è affidato alla buona volontà».

A proposito di mancata attuazione, pare che il governo sancirà la sospensione immediata dell'attività dell'impresa in caso di gravi violazioni in materia di sicurezza, oggi prevista solo in caso di recidiva nel quinquennio precedente, perché finora non è stato attivato il sistema informatico per raccordare le banche dati e verificare la recidiva stessa. Inasprire le pene per l’incapacità di applicare quelle precedenti è singolare, in punto di diritto.

Pare che a breve ci saranno oltre duemila assunzioni presso l’Inl e i controlli verranno rafforzati. Ma le nuove risorse potrebbero non essere sufficienti a monitorare oltre 4 milioni di imprese (censimento Istat 2019). Ognuno dovrebbe essere “controllore” dell’azienda ove svolge la propria attività. Ma spesso prevale il timore di rilevare le inadempienze di coloro ai quali si è subordinati, e così si preferisce tacere.

Il whistleblowing

Il Testo Unico prevede ipotesi di segnalazione di irregolarità in tema di sicurezza da parte dei RSL, come detto, ma anche dei lavoratori, i quali hanno l’obbligo di fare presenti al datore di lavoro anomalie di attrezzature, sostanze ecc. per il tramite dell’Rsl, che può garantire l’anonimato del segnalatore.

Si tratta di una sorta di whistleblowing, che nella sua forma vera e propria - denuncia di condotte illecite o irregolari, conosciute in ragione del rapporto di lavoro, assistita da particolari tutele previste dalla legge - è stato disciplinato nel 2012 (l. n. 190) per il settore pubblico e nel 2017 per quello privato (l. n. 179).

Il whistleblower potrebbe far emergere irregolarità sui luoghi di lavoro, anche quando non configurino illeciti penali o civili, ma solo violazioni disciplinari o pratiche scorrette che comunque comportino rischi per i lavoratori.

Tuttavia, in Italia se ne fa scarso uso. La legge esclude le segnalazioni anonime - pur garantendo la riservatezza circa l’identità, nonché tutele da ritorsioni e licenziamento – e i segnalanti sono spesso frenati dalla preoccupazione di eventuali conseguenze. Ciò impedisce il più efficace funzionamento di un istituto che potrebbe prevenire incidenti sul lavoro.

L’attenzione in tema di salute e sicurezza è quanto mai importante. Il rischio è che, sull’onda emozionale e sulla pressione dell’opinione pubblica, a seguito degli ultimi infortuni, si facciano interventi altisonanti, ma sprovvisti di efficacia in quanto mancanti di un’analisi effettiva del contesto, anche normativo, e degli impatti che in concreto potrebbero produrre. Insomma, meri proclami. Sarebbe un’occasione persa.

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