Per aprire la crisi di governo, Matteo Renzi ha posto una condizione che il governo Conte non poteva accettare: fare ricorso al Mes sanitario, la linea precauzionale del fondo salva stati autorizzata per affrontare le spese relative alla gestione della pandemia. «Abbiamo fatto dei passi nella direzione giusta, ma c’è ancora qualcosa che manca, il Mes», ha detto due giorni fa nella conferenza stampa che ha posto fine all’esperienza di governo di Italia viva, almeno per ora. Ma il Mes non verrà preso, anche se più volte il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti lo ha auspicato.

Il tempo sprecato

All’apice della prima fase della pandemia, i titoli di stato italiani a dieci anni avevano sul mercato un rendimento intorno all’1,9 per cento (a marzo 2020). Per effetto degli acquisti della banca centrale europea, nell’ultimo anno il rendimento è sceso fino allo 0,5 per cento. Quindi il beneficio principale della linea di credito sanitaria – avere circa 37 miliardi a tasso vicino allo zero, quasi senza condizioni – è diventato molto meno attraente.

Restava però un altro possibile beneficio: l’Esm ha una finestra temporale ristretta, i soldi vanno chiesti entro la fine del 2022 e spesi subito. Se l’Italia avesse chiesto i fondi in primavera, quando l’Esm ha introdotto la nuova linea anche su richiesta del governo Conte, avrebbe poi avuto qualche mese per elaborare piani da attuare in fretta così da spendere i fondi Esm in modo da prevenire la seconda ondata. L’unico vincolo è sul tipo di spese da finanziarie – dirette e indirette legate alla pandemia – non c’è però un obbligo di spesa immediata.

L’Italia non l’ha fatto, anche perché nel frattempo la pressione dei mercati si è ridotta (i bond italiani sono comunque considerati più rischiosi degli atri, la differenza rispetto a quelli tedeschi è 110 punti, quella dei titoli omologhi spagnoli soltanto 63).

L’approvazione del piano Next Generation Eu ha prodotto però al contempo una sfida amministrativa molto più complessa di quella che avrebbe posto il Mes: privo della cattiva fama che accompagna il Mes per essere stato usato da paesi in difficoltà durante la crisi del 2011-2012, Next Generation prevede comunque molte condizionalità, riguardo i tipi e i tempi dei progetti da finanziare.

Il processo di elaborazione di quei progetti è ancora all’inizio, molti sono soltanto dei titoli con associata una voce di spesa. Anche sulla sanità c’è ben poco di dettagliato, gli stanziamenti tra una bozza e l’altra sono passati da 9 a 18 miliardi (anche se in realtà l’aumento al netto degli spostamenti contabili di somme già disponibili è solo di 3,5). Di idee precise su come usarli non sembrano essercene, a parte i buoni propositi su telemedicina e assistenza di territorio.

Momento sbagliato

Chiedere in questo momento anche il Mes riservato alla sanità sottoporrebbe le strutture amministrative a un doppio stress, elaborare progetti a lungo termine (2026) per il Next Generation e a breve (2022) per il Mes, il tutto mentre c’è da gestire la terza ondata della pandemia e la campagna di vaccinazione. Il Mes è diventato una questione di politica interna e rapporto tra partiti, non ha più nulla a che fare con il merito finanziario dello strumento, come si è visto anche nella recente polemica sulla ratifica della riforma del trattato di funzionamento (all’ultimo Consiglio europeo di dicembre).

Altri paesi, oltre al Mes hanno rifiutato anche la parte di prestiti del piano Next Generation Eu: la Spagna per 70 miliardi e il Portogallo per 4,3.

La scommessa è rischiosa: poiché questi paesi beneficiano di condizioni finanziarie sui mercati, preferiscono evitare la condizionalità e i monitoraggi abbinati al piano Next Generation, cioè usare i fondi soltanto per certi progetti (digitale, sostenibiltà, salute ecc.) e adottare le riforme suggerite dalle raccomandazioni della Commissione europea.

E’ una scommessa rischiosa, perché parte del consenso politico che permette alla Bce di continuare con gli acquisti di titoli dei paesi mediterranei ad alto debito deriva dalla convinzione condivisa anche dai paesi del Nord sulla gravità della situazione. Ma se i paesi del Sud preferiscono emettere debito in proprio che poi in gran parte compra la Bce invece che ricorrere ai finanziamenti comuni dell’Unione europea, fanno venir meno proprio quelle condizioni politiche che legittimano l’intervento della Bce. Se la banca centrale riducesse l’acquisto di titoli, il tasso di interesse sul mercato salirebbe e Spagna e Portogallo farebbero subito ricorso a Next Generation.

Lo stigma

Il paradosso di questa situazione è che l’Italia si trova vittima del cosiddetto effetto stigma anche senza aver preso il Mes, perché comunque domanda i prestiti di Next Generation. Il leghista Claudio Borghi, per ora in solitaria, ha iniziato ad attaccare il governo sulla contraddizione e chiede che l’Italia non usi i prestiti di Next Generation così come non usa quelli del Mes.

Se questa diventasse la linea ufficiale della Lega, il governo Conte o quello che verrà dopo si troverà sotto attacco dall’interno per aver accettato le condizionalità di Next Generation e dall’esterno per non aver preso il Mes quando poteva, con gli investitori che sono interessati davvero a una cosa sola: la capacità di usare i finanziamenti disponibili per sostenere gli investimenti e far ripartire il Pil.

Se la crescita dell’Italia rimarrà bassa mentre quella di Spagna e Portogallo sarà superiore, pur avendo evitato i prestiti Next Generation, il costo del debito pubblico italiano salirà molto in fretta, quanto la pressione di tedeschi e olandesi sulla Bce per evitare di continuare a sostenerci come fa ora.  

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