Coraggio e visione, perché alla sinistra serve una svolta

Ho sbagliato tante volte ormai... Resterà incancellabile nella memoria la voce di Ornella Vanoni in uno degli attacchi più famosi della storia della canzone italiana. Potrebbe essere anche il refrain della sinistra italiana degli ultimi trent’anni, con qualche eccezione. Trentasei anni fa, di questi tempi, l’annuncio della svolta di Achille Occhetto fu uno spartiacque storico, lui non sbagliò, per una beffa perse contro Berlusconi ma grazie alla sua svolta i suoi successori sono andati al governo, senza avere un’oncia del suo coraggio. Il potere dei camaleonti: Schlein e il rigetto nel Pd Spartiacque ed elezioni Il passaggio dal Pci al nuovo partito, la Cosa, «prima viene la cosa e poi il nome», disse il segretario nel Comitato centrale del Pci nella relazione del 20 novembre 1989 che apriva il travaglio, è stato raccontato in una bella ricostruzione (L’ultima domenica del Pci, Bibliotheka) da Walter Dondi, il cronista dell’Unità che fece la domanda a Occhetto nel quartiere della Bolognina sul cambio del nome. E domani, acquisito il risultato delle elezioni regionali, servirà qualcosa di simile. Lo stesso coraggio. Un’altra svolta. Oggi si vota in Veneto, Campania, Puglia, a conclusione di un lungo turno elettorale cominciato a settembre che il governo ha voluto spezzettare, dalla fine dell’estate a quasi la vigilia di Natale. Una frammentazione che non ha aiutato a destare interesse e che ha alimentato il partito del non-voto, vincitore annunciato. Ieri il Corriere della Sera parlava di campagna del nulla in Veneto e di sbadigli e noia in Puglia. Appena più vivace, e più incerta, la contesa in Campania. Con queste premesse, un modo anche per neutralizzare la possibile sconfitta della destra al Sud, il solo metro per misurare il test elettorale non è nella corsa dei presidenti, ma nella distanza tra le coalizioni e, al loro interno, dei singoli partiti. Tre anni non sono passati invano: il Pd agonizzante del 2022 si batte per essere il primo partito nelle regioni del Sud, alla guida della coalizione vincente. In Puglia, la regione dei Fitto e dei Mantovano, potentissimi a Roma e a Bruxelles, inesistenti in casa, la destra si è arresa. In Campania, comunque vada, aveva le praterie per infilarsi nelle contraddizioni tra Fico e De Luca e invece ha inseguito. Il merito è di chi a livello nazionale ha lavorato perché questo accadesse, con umiltà e con capacità di ricucitura, e non (come scrivono alcuni commentatori) quel mondo alla rovescia per cui se vince Giani il vincitore è Giani, ma se perdono Ricci o Orlando la sconfitta è Elly Schlein. Dopo, occorre qualcosa di diverso dalla somma cinica e metallica dei pezzetti e dei cespugli e dalla cooptazione del ceto politico, che ricorda quel che furono nella storia dell’ex Pci le Cose 2 e 3 dei successori di Occhetto. Serve qualcosa di simile a quanto accadde nel 1989. La caduta del muro di Berlino è oggi la caduta del patto tra Stati Uniti e Unione europea provocata da Trump, certificata anche dal comunicato di ieri dei paesi europei del G7 più Canada a Giappone che prendono le distanze dal piano della Casa Bianca sull’Ucraina. Referendum sulla giustizia, contro il “quesito implicito” Un dibattito essenziale In questi tre anni è cambiato il mondo, atlantismo ed europeismo, democrazia e occidente, sono categorie che non esistono più o che vanno interamente ripensate. In questo contesto bisogna riprendere il percorso virtuoso del 1989: popolo, società civile, intellettuali. Ai tempi della svolta occhettiana parteciparono all’elaborazione del nuovo partito Salvati, Veca, Cacciari, Flores d’Arcais, non proprio una passeggiata. E insieme gli iscritti e i militanti. Negli ultimi giorni sono intervenuti Nadia Urbinati e Franco Monaco su Domani, Mario Ricciardi e Luciano Floridia sul Manifesto (i giornali hanno ancora senso se sono luoghi di dibattito e di polemica, non buche delle lettere o bollettini meteo in cui si fotografa il tempo che fa). Posizioni diverse, in alcuni casi di fortissima delusione per le promesse di rinnovamento finora mancate, ma con una ispirazione comune: la richiesta al Pd e alla sua segretaria di aprire un confronto sul progetto per il paese, con un profilo di pensiero forte, senza temere le accuse di radicalismo. La seconda richiesta è l’uscita dall’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti e l’apertura delle porte del partito alla società civile e al popolo, che non è l’entità amorfa che prediligono i populisti e i sovranisti. Sono i luoghi dove si può riprendere l’ascolto e il dialogo con quel pezzo di paese che, testardamente, crede ancora alla partecipazione. Abbandonando il bilancino delle correnti, vecchie e nuove, e anche la prospettiva di primarie vissute come un sondaggione di notorietà e di popolarità che già si vede all’orizzonte. Guardare a chi è fuori dai campi larghi e dai convegni termali, nel momento in cui la destra in vista del voto 2027 proverà a chiudere ogni spazio di dibattito, come si è visto nella settimana dei Mario Rossi e degli Ignazio Mangrano. Per non sbagliare ancora.