Alla fine Silvio Berlusconi non ha partecipato alle consultazioni per formare il governo guidato da Mario Draghi. Da tempo l’ex cavaliere è lontano, a Nizza, pare con problemi di salute, almeno stando a quanto dichiara il suo medico Alberto Zangrillo quando deve giustificare la mancata partecipazione ai processi nei quali è ancora imputato.

Comunque, l’assenza di ieri ha evitato imbarazzi perché se il ruolo di Forza Italia nella nascente maggioranza, una benedizione di Berlusconi al nuovo esecutivo sarebbe stata radioattiva per molti, soprattutto nel Movimento Cinque stelle.

Berlusconi, infatti, è sempre rimasto un grande estimatore di Draghi, periodicamente lo ha evocato come salvatore del paese, talvolta del centrodestra. Eppure, secondo una lettura superficiale della crisi del 2011 la caduta dell’ex cavaliere inizia proprio a opera di Draghi, con la famosa lettera Bce-Banca d’Italia che richiede al governo di centrodestra di approvare una serie di riforme e tagli alla spesa che poi verranno in gran parte realizzati dal governo tecnico di Mario Monti, dopo le dimissioni di Berlusconi incoraggiate dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E allora perché Berlusconi è rimasto così entusiasta di Draghi?

L'arrivo alla Bce

Intanto va ricordato che nel 2005 è il secondo governo Berlusconi a indicare Mario Draghi alla guida della Banca d’Italia, come successore di Antonio Fazio, travolto dagli scandali per le scalate bancarie incrociate a banche e Corriere della Sera di quell’anno. Draghi arriva, primo governatore senza nomina a vita, per riportare ordine e reputazione in via Nazionale.

Sei anni dopo è di nuovo Berlusconi a spingere per mandare Draghi alla presidenza della Bce, in una partita diplomatica che trova l’appoggio dell’altro esecutivo conservatore dell’epoca, la Francia di Nicolas Sarkozy (qualcuno all’epoca vide anche un contraccambio francese nella conquista di Parmalat da parte di Lactalis, non ostacolata dal governo italiano). In quella fase Berlusconi era ai minimi della sua popolarità, travolto dagli scandali dei festini di Arcore e trattato come un partner poco affidabile dalla Commissione europea e, soprattutto, dalla Germania di Angela Merkel (c’era sempre lei).

A inizio agosto 2011 la coalizione di governo tra Forza Italia e Lega inizia a scricchiolare, gli investitori si fidano sempre meno del debito pubblico, Berlusconi e il suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti annunciano l’anticipo del pareggio di bilancio dal 2014 al 2013, per dare un messaggio di rigore. Non ci crede quasi nessuno.

E allora arriva la lettera della Bce, che in realtà era firmata sia dal presidente uscente, Jean-Claude Trichet, che da quello entrante, Mario Draghi, che però all’epoca era ancora il governatore della Banca d’Italia. «Il consiglio direttivo ritiene che l’Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali».

L'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e il governatore di Bankitalia Mario Draghi (© Marco Merlini / LaPresse)

Segue l’elenco delle riforme, inclusa quella del mercato del lavoro e della disciplina dei licenziamenti. Per la prima volta le istituzioni europee non chiedono solo il rispetto dei saldi di bilancio, ma dettano un programma di governo, in cambio degli impegni alle riforme e al contenimento della spesa che dovrebbero rendere il debito più sostenibile, la Bce interviene sul mercato con i primi, timidi, acquisti di debito pubblico (che poi diventeranno massicci durante la stagione di Draghi).

Vincolo esterno

Renato Brunetta, all’epoca ministro della Funzione pubblica, capisce che la pressione europea può diventare la garanzia di sopravvivenza del governo. Brunetta viene a sapere dell’esistenza della lettera e attiva una diplomazia parallela per gestirne l’impatto. Tremonti, ministro dell’Economia che ha sempre avuto rapporti freddi con Draghi, viene aggirato, anche perché lui nel frattempo sta trattando con un incombente Fondo monetario internazionale e si propone a sua volta all’estero come l’interlocutore affidabile di un governo inquieto e litigioso.

Morale: esce la notizia della lettera della Bce, Berlusconi scrive a Francoforte e prende l’impegno di applicare quelle misure. A quel punto un governo con una reputazione minima in Europa ha la copertura della Bce presente e futura, perché la lettera la firma anche Draghi impegnando anche l’istituzione che rappresentava all’epoca, cioè la Banca d’Italia.

Guadagnare tempo 

Quella lettera, insomma, compra tempo per il governo Berlusconi e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano deve sospendere le riflessioni sulla necessità di un governo tecnico. Già in quell’estate si parlava dell’ipotesi di chiamare Mario Monti a guidare il paese.

Poi il centrodestra implode, la Lega si oppone alla riforma delle pensioni, Tremonti prevede di trovare 20 miliardi di euro in tagli di spesa pena l’attivazione di clausole di salvaguardia (riduzioni lineari di agevolazioni fiscali) che rimarranno una mina da disinnescare per tutti i governi successivi.

Alla fine, a novembre, di fronte alla pressione dei mercati e alla debolezza del governo Berlusconi si arrende e si dimette. Ma non imputa certo a Draghi la sua caduta.

Poi tutto il centrodestra accrediterà una narrativa complottista per anni, il golpe dello spread, dei francesi, dei tedeschi, un grande complotto per sottomettere l’Italia e condannarla all’austerità, e la sequenza dei fatti dell’estate 2011 verrà oscurata da una coltre di polemiche.

© Riproduzione riservata