Chi ha paura del dibattito pubblico sugli impianti energetici? Possibile che neanche in una crisi di questa dimensione si comprenda che sta nella costruzione di un nuovo rapporto con i territori la chiave per sbloccare i progetti da fonti rinnovabili di cui il nostro paese ha urgente bisogno per ridurre la dipendenza dal gas, dalla Russia e da prezzi impazziti?

La risposta è no, ma vale la pena capirne di più anche perché mentre il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani evita in ogni modo l’argomento, sono oramai tante le procedure di dibattito pubblico in corso in Italia per linee ferroviarie, strade e tram - e si è conclusa nei tempi previsti quella per aggirare la città di Trento con nuovi binari per i treni -, grazie all’accelerazione impressa dal suo collega al ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini.

Già da queste prime esperienze si conferma l’interesse di un confronto organizzato sul merito delle proposte, dove si confrontano opinioni e trovano spazio sia i contrari che i favorevoli, ma soprattutto c’è qualcuno che ha la responsabilità di ascoltare e dare risposta alle legittime preoccupazioni con approfondimenti e il coinvolgimento degli stessi proponenti.

Alcune cose sono migliorabili, ma intanto si dimostra che laddove si offre l’opportunità di uno spazio organizzato di dibattito, nel quale trovare tutte le informazioni sui progetti, il successo di partecipazione è significativo. Ma come si spiega questa differenza di approccio tra i due ministeri?

Intanto non è una novità, perché anche quando questa procedura è stata introdotta nel nostro paese la spinta venne dall’allora ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, mentre allo Sviluppo economico hanno fatto di tutto per bloccare i dibattiti pubblici su centrali termoelettriche e rigassificatori, elettrodotti e gasdotti.

Questo stesso approccio lo troviamo ancora oggi malgrado il cambio del nome del ministero, anzi con la guerra in Ucraina e la crisi del gas si vorrebbero sbloccare progetti fermi nei cassetti da anni con procedure speciali che saltano il consenso dei territori. Ma siamo sicuri che questo approccio sia utile anche per accelerare la transizione energetica?

Al contrario, per gli impianti da fonti rinnovabili, come per quelli dell’economia circolare, il passaggio per il confronto con i territori è ineludibile e proprio per i benefici che possono venire da uno scenario di generazione distribuita.

Non è scappando dal confronto che si risolvono i problemi quanto piuttosto dal raccontare i vantaggi ambientali e di sviluppo locale che possono venire dalle rinnovabili.

Aspetti che oggi scompaiono dentro polemiche che trovano forza proprio nell’assenza di informazioni e che permettono a interessi organizzati di mettersi di traverso paventando devastazioni del paesaggio e impatti sulla salute.

Il caso Sicilia

In Sicilia è in corso una polemica fortissima contro un impianto eolico in mare a sessanta chilometri dalla costa, non solo invisibile ma che potrebbe diventare un volano di sviluppo locale. Ma nessuno lo può sapere, perché il dibattito è portato avanti con argomentazioni false da parte di politici che trovano uno spazio insperato da paladini dell’ambiente dopo aver dato il via libera a condoni e scempi incredibili.

C’è un solo modo per superare le tante "sindromi nimby” che bloccano progetti eolici a terra e in mare, solari agrivoltaici, impianti a biometano, e passa per il dibattito pubblico.

Due mesi di confronto organizzato sui progetti non sono una perdita di tempo, al contrario, obbligano i contrari a spiegare le ragioni e i proponenti a offrire risposte esaustive, dando a tutti la possibilità di assistere e approfondire grazie agli strumenti digitali di cui oggi disponiamo.

Soprattutto mettono la politica nelle condizioni di decidere se andare avanti, chiedere modifiche o fermare tutto. In ogni caso sarà una scelta assunta sulla base di questioni reali e comprensibili, non per la paura della reazione di qualche comitato o gruppo di interesse.

Qualcuno rimarrà scontento, ma il processo sarà stato trasparente e avrà aiutato la costruzione di un percorso decisionale civile e responsabile. Ne abbiamo un gran bisogno per sconfiggere l’idea disfattista per cui tanto da noi è impossibile, ci sarà sempre qualcuno a bloccare tutto, figuriamoci se un modello energetico incentrato sulle energie pulite si può fare in Italia.

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