Qualche tempo fa, qualche illustro virologo era apparso in TV per sostenere che gli anticorpi monoclonali erano “la cura” contro il Covid, e che noi italiani eravamo pazzi a non accettare una fornitura di anticorpi monoclonali che una grande azienda farmaceutica americana- la Ely Lilly - ci offriva gratuitamente. Come sempre in Italia era seguita l’immancabile polemica. Bene: quegli anticorpi sono talmente efficaci e sicuri che diversi stati americani hanno deciso di sospenderne la somministrazione.

Cominciamo col chiarire una cosa: contro il coronavirus non esiste “la cura”.

LA CURA QUASI IMPOSSIBILE

I virus, come questo coronavirus, sono organismi difettivi, che cioè mancano di qualche componente molecolare fondamentale, e sono capaci di replicarsi solo dentro alle cellule di un essere vivente perché utilizzano parte del suo apparato per replicarsi.

Alcuni sostengono che i virus siano organismi “quasi vivi”, perché fuori dalla cellula del loro ospite non si replicano e sono “come morti”, mentre solo dentro la cellula dell’ospite possono replicarsi e prendono vita.

Per curare il Covid bisognerebbe fare una sola cosa: uccidere il coronavirus. Ma poiché il coronavirus “vive” solo dentro alle nostre cellule, la cura contro il coronavirus dovrebbe uccidere le nostre stesse cellule che lo ospitano, e una cura del genere è ovviamente impossibile.

Quindi, contro il contro il Covid non esiste e probabilmente non esisterà mai cura, perché non esiste farmaco che uccida il virus, come invece fanno certi antibiotici coi batteri. Abbiamo solo farmaci palliativi, che cioè alleviano i sintomi senza eliminare la causa della malattia, che è il coronavirus.

Il Sars-Cov-2 entra nel nostro organismo per via aerea attraverso il naso e la bocca, arriva nei polmoni e qui, tramite la sua proteina spike si lega ai recettori ACE2 sulla membrana delle cellule dei nostri alveoli polmonari, penetra dentro di esse, si replica generando nuove copie del virus che riempiono la cellula fino a farla scoppiare, poi i nuovi virus prodotti invadono le cellule vicine, e così via, distruggendo a poco a poco le pareti degli alveoli.

Questo danno cellulare progressivo richiama nei polmoni un gran numero di cellule immunitarie – granulociti, macrofagi, ecc - che cominciano a secernere sostanze chiamate citochine, le quali attirano in loco altre cellule immunitarie che fagocitano cellule morte e virus, e che rilasciano altre citochine le quali richiamano altre cellule ancora, e così via. In qualche caso – specie in chi è più anziano – le cellule del sistema immunitario secernono una vera e propria “tempesta di citochine”, che richiamano una enorme massa di cellule, le quali scatenano una super-infiammazione polmonare che distrugge tutto, virus e tessuto polmonare: questi sono i casi di Covid più gravi. Perciò, i danni più seri del Covid sono determinati non dal virus ma dalla azione eccessiva del nostro stesso sistema immunitario.

QUALI FARMACI

Torniamo ai farmaci contro la malattia. Sono di tre tipi. ci sono farmaci, come il remdesivir, che rallentano la replicazione del virus senza ucciderlo, quindi esso continua, seppur più lentamente, a crescere dentro il corpo: difatti funzionano poco.

Ci sono i farmaci anti-infiammatori, che attenuano la super-infiammazione provocata dal coronavirus, come il cortisone, e perciò diminuiscono la distruzione dei nostri polmoni ad opera del nostro stesso sistema immune: e funzionano.

Infine ci sono gli anticorpi monoclonali. Cosa significa anticorpo monoclonale? Significa che è un anticorpo prodotto da un solo clone di linfociti. Quando il virus penetra all’interno del nostro organismo attiva una gran numero di linfociti B, ognuno dei quali si mette a produrre uno e un solo tipo di anticorpi indirizzato contro una piccola porzione specifica del virus, e poi si moltiplica, generando un clone di linfociti identici che producono tutti lo stesso tipo di anticorpo.

Gli anticorpi monoclonali, cioè prodotti da un clone di linfociti, sono tutti identici. Ma non tutti gli anticorpi sono efficaci alla stessa maniera.

Ci sono anticorpi che si legano a una determinata regione della proteina spike del virus, quella che il virus usa per attaccarsi alle nostre cellule, che impediscono perfettamente il legame del virus ai recettori ACE2, e perciò bloccano la sua penetrazione dentro le nostre cellule. Basta identificare questo anticorpo perfetto e produrne a tonnellate per somministrarlo ai malati e arrestare il Covid, direte. Ma non è così.

I LIMITI DEI MONOCLONALI

Per prima cosa, gli anticorpi monoclonali sono efficaci solo nei primi stadi della malattia, nelle prime 72 ore, quando il virus ha iniziato da poco a diffondersi nel nostro corpo, si trova ancora fuori dalle nostre cellule e si mette ad invaderle una dopo l’altra, perché solo quando i virus si trova all’esterno delle nostre cellule gli anticorpi possono legarsi ad essi bloccandoli.

Una volta che i virus sono penetrati dentro le nostre cellule, l’anticorpo non può più raggiungerli: perciò si scatena l’infiammazione e la malattia progredisce inesorabile, nei casi più gravi distruggendo i polmoni.

Gli scienziati della Eli Lilly erano stati espliciti: il loro anticorpo monoclonale diretto contro la proteina spike – chiamato bamlanivimab- era efficace solo se somministrato nelle prime 72 ore dall’inizio dei sintomi, e solo nei casi più lievi della malattia, perché una volta che si era innescata la super-infiammazione, ciao, non poteva più fare nulla.

Inoltre, nei pazienti ricoverati da giorni o che hanno già bisogno ossigeno, questi farmaci possono aggravare la malattia, probabilmente perché attaccandosi al virus impediscono il legame dei tanti altri anticorpi - forse coralmente più efficienti- prodotti naturalmente dalle cellule immunitarie del paziente.
Infine, gli anticorpi monoclonali sono molto pericolosi perché, essendo proteine estranee al nostro corpo, quando ci vengono infusi possono spesso scatenare fortissime reazioni avverse - shock anafilattici, ecc.- da parte delle nostre cellule immunitarie, e quindi vanno somministrati in ambiente ospedaliero; e sono costosissimi.

LO STUDIO FAVOREVOLE

Un unico studio dimostrerebbe che nei pazienti a cui è stato somministrato un cocktail di due anticorpi monoclonali della Eli Lilly – bamlanivimab più etesevimab - c’è un calo di ricoveri e di morti del 70 per cento. Ma se si guardano i dati, sono debolissimi: solo 5 dei 309 pazienti che hanno ricevuto i monoclonali sono stati ospedalizzati (pari al 1,6 per cento), contro i 9 su 143 trattati col placebo (pari al 6,3 per cento), il che significa c’è stato sì un calo del 70 per cento delle ospedalizzazioni, ma su un numero ridicolmente basso di casi: 5 contro 9.

A peggiorare le cose, è arrivata la decisione di qualche giorno fa: la FDA americana ha sospeso la somministrazione del bamlanivimab in California, in Arizona e in Nevada perché ci sono prove che questo anticorpo monoclonale favorisca la nascita e la diffusione di ceppi resistenti del virus, con una proteina spike mutata che sfugge all’anticorpo. Brutta fine per un farmaco che – a sentire il dottor Giorgio Palù del CTS, o il virologo Guido Silvestri - doveva essere un salvavita.

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