Due vicende parallele rivelano un quadro inquietante: in una stagione nella quale il tema politico principale era quello dei migranti, praticamente tutti i giornalisti che si occupavano dell’argomento erano ascoltati dall’autorità giudiziaria.  Gli anni sono quelli tra 2016 e 2017, quando al Viminale c’era Marco Minniti (Pd, ora dirigente di Leonardo-Finmeccanica) che competeva con Lega e Cinque stelle nel cercare i consensi tra chi temeva “l’emergenza immigrazione”. Un’emergenza diventata tale per scelta politica, visto che molti sforzi sono stati dedicati a rendere il problema ingestibile – dai pagamenti ai trafficanti ai decreti “Sicurezza” allo smantellamento di pezzi del sistema di accoglienza – e pochi a mitigare gli effetti negativi dei flussi migratori.

Qui su Domani abbiamo raccontato che nell’ambito dell’inchiesta sui salvataggi in mare delle Ong a Trapani e, scopriamo ora, in quella sul sistema di accoglienza calabrese e Mimmo Lucano a Locri per mesi gli investigatori hanno ascoltato decine di giornalisti che si occupavano dell’argomento più caldo del momento. Con la (grave) eccezione di Nancy Porsia a Trapani, i giornalisti venivano intercettati perché parlavano con soggetti indagati. Può capitare.

Ma poi i magistrati hanno scelto di includere nei fascicoli delle inchieste anche conversazioni irrilevanti, dettagli personali, scambi con le fonti e con i colleghi in redazione (c’è pure il mio nome, ma soltanto perché qualche investigatore a Trapani ha sbagliato ad attribuire un numero di telefono).  A che scopo? Per compiacere l’autorità politica del momento?

Di certo sappiamo che alla base dell’inchiesta di Trapani c’è un documento redatto dal ministero dell’Interno a dicembre 2016 con molti condizionali e nessun fatto sui sospetti di legami tra Ong e trafficanti. Nel caso di Mimmo Lucano, è chiaro quanto il modello di accoglienza di Riace fosse agli antipodi della linea “legge e ordine” propugnata prima da Minniti e poi dal suo successore al Viminale, Marco Minniti.

Non si tratta di una difesa corporativa: le intercettazioni sono uno strumento prezioso ed è giusto che vengano usate dall’autorità giudiziaria. Ma in questa storia prima è arrivata la politica, con le sue esigenze, e soltanto dopo si sono attivate le procure, in alcuni casi sorprendentemente loquaci e generose di teorie ed elucubrazioni. Queste notizie servono a riscrivere la storia di quegli anni, ma soprattutto a evitare che si ripeta.

Secondo i dati del ministero dell’Interno, a marzo ci sono stati 2.396 sbarchi contro i 241 del marzo 2020 e i 262 del marzo 2019. Già una volta una situazione complicata è stata fatta incancrenire per incassare dividendi politici mentre i giornalisti che raccontavano la storia da una prospettiva diversa da quella desiderata dal Viminale erano tutti ascoltati e monitorati. Evitiamo che tutto questo succeda ancora.

Non servono riforme per sabotare l’uso delle intercettazioni, ma un attento monitoraggio da parte dell’opinione pubblica per evitare che politica e autorità giudiziarie ne abusino.

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