A fine mese Atlantia deciderà sull’offerta di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), insieme a due fondi stranieri, per l’acquisto di Autostrade per l’Italia (Aspi). Probabile che venga accettata: valuta Aspi a multipli non troppo distanti dal mercato (anche se inferiore alle pretese come in ogni negoziazione), e mancano reali alternative.

A tre anni dal crollo del ponte Morandi, l’ingresso di Cdp mette fine agli aspetti economici di questa tragedia; ma non risolve nessuno dei vizi di fondo del sistema che la vicenda ha messo a nudo.

I tre fallimenti

Primo, il plateale fallimento della governance di una grande multinazionale italiana, la cui gestione ha minato la sicurezza dei trasporti e l’incolumità dei cittadini: ma è fallito anche il sistema dei controlli dello Stato che quella sicurezza e incolumità dovrebbe garantire.

Secondo, l’esistenza di un regime di concessioni pubbliche fortemente sbilanciato a favore del concessionario.

E, terzo, un sistema giuridico macchinoso, e inefficace per il rispetto delle regole, l’accertamento di responsabilità, la sanzione dei comportamenti, e il risarcimento dei danni.

È compito di un consiglio di amministrazione approvare il piano strategico, vigilare sulla gestione dell’amministratore delegato, e verificare che la società abbia un sistema adeguato di controllo dei rischi, nell’interesse di tutti gli azionisti. Nonostante esistesse in Atlantia anche un Comitato apposito, rigorosamente di consiglieri indipendenti, nessuno aveva la più pallida idea dei rischi ai quali le società del Gruppo erano esposte.

Il Consiglio ha poi lasciato che i Benetton, con il solo 27 per cento (indiretto) di Aspi agissero in totale noncuranza degli altri azionisti (che ora pagano il 73 per cento delle conseguenze), dando carta bianca a un amministratore delegato in cambio di lauti dividendi, senza domandarsi, o colpevolmente ignorando, in che modo venissero generati e con quali rischi per la società.

Finché i criteri di selezione dei consiglieri saranno indipendenza formale, affinità personali, prestigio accademico o professionale, e quote rosa, invece di una profonda comprensione dell’attività aziendale e vera indipendenza di giudizio, ci saranno sempre i rischi di una cattiva governance, che i soci siano pubblici o privati.

Se i grandi investitori istituzionali internazionali che detengono la maggioranza di Atlantia hanno accettato questa governance è perché, evidentemente, ritengono che da noi sia più conveniente lasciar fare al socio ben introdotto col governo e col regolatore, e non fare domande.

L’ingresso dello Stato in Aspi, tramite Cdp, non risolverà questi problemi; anzi, perché chi ora concede la concessione e nomina i vertici del regolatore (Autorità dei Trasporti) e del Controllore (Agenzia per la Sicurezza), nomina anche quelli di Cdp, che a sua volta nomina gli amministratori del concessionario.

Il peccato originale della concessione

La concessione di Aspi era sfacciatamente vantaggiosa per il concessionario: era ben noto e non c’era bisogno che il ponte Morandi crollasse per rendersene conto. Le autostrade sono un bene demaniale ma lo Stato le dà in concessione al privato perché è incapace di gestirle in modo efficiente (vedi Anas), e preferisce finanziarle con le tariffe, e incassare tramite la vendita della concessione, piuttosto che con le tasse.

Per evitare che sorgano rendite, però, bisogna che le tariffe siano determinate sulla base di previsioni realistiche di traffico, e in modo tale che, tolti i costi di manutenzione e gli investimenti concordati, la generazione di cassa remuneri il capitale del concessionario a un tasso deciso dal regolatore.

E’ dunque necessario che il regolatore verifichi che manutenzione e investimenti siano fatti nei tempi e modi prescritti (basta posporli per generare più cassa del previsto con cui pagare extra dividendi); che la durata della concessione non sia troppo lunga, per poterla riassegnare facilmente in caso di concessionario inadempiente; e che ci sia una pluralità di concessioni, per evitare che un unico concessionario acquisisca un potere negoziale eccessivo, e per creare concorrenza tra concessionari, comparando la qualità dei loro servizi. Nessuna di queste condizioni valeva per Aspi; e sarà così anche con l’ingresso di Cdp.

Anche Cdp è interessata ai dividendi, e lo Stato a quelli di Cdp. Ingenuo pensare che Aspi a controllo pubblico rinuncerà al suo notevole potere contrattuale nei confronti della controparte, che è pubblica. Lo sanno benissimo i fondi stranieri che per questo affiancano con entusiasmo Cdp in Aspi, come in altre partecipazioni.

Questi fondi tipicamente puntano a un rendimento sul capitale investito (prima del debito) di almeno il 10 per cento; che è stato quello medio di Aspi nei due anni precedenti al crollo, e al Covid.

Il vincolo del debito

Scontato poi che i beni in concessione, e la sua durata (scade nel 2038), sarebbero rimasti immutati, anche perché sono condizioni blindate da forti penali. La quasi totalità dell’attivo di Aspi è costituito dai 17 miliardi del diritto alla concessione, che garantisce in toto 10 miliardi tra obbligazioni e finanziamenti (solo1,8 il patrimonio).
Le penali furono imposte dai creditori perché un’eventuale revoca della concessione avrebbe spazzato l’attivo, causando il fallimento Aspi, e trascinato con sé Atlantia, che di debiti ne ha 49. E visto che 60 per cento del capitale di Atlantia è di investitori stranieri, una revoca da parte dello Stato Italiano sarebbe stata percepita come un suo default; con gravi conseguenze per la finanza pubblica visto che lo Stato è indebitato a sua volta con gli stranieri per 792 miliardi.

La minaccia di revoca del governo Conte appare pertanto demagogica, oltre che giuridicamente infondata e impraticabile (chi avrebbe gestito Aspi? Anas?). Come irrealistico ipotizzare che lo Stato possa ricomprarsi la concessione, spezzettarla per poi riallocarla con aste competitive: Aspi accetterebbe solo dietro pagamento delle penali.

Quanto è costato il crollo ai Benetton? E’ possibile ricavare una stima implicita dal mercato, confrontando lo sconto medio tra il titolo Atlantia e gli indici delle infrastrutture per il trasporto su terra, da prima del crollo e fino all’inizio del Covid (per evitare l’impatto dei lockdown): circa 4 miliardi. Di questi, 1,2 pagati dai Benetton: in pratica, i dividendi incassati dal 2015 al 2019.

Per l’accertamento delle responsabilità, le sanzioni, le misure interdittive, (compreso la nomina di un commissario o la revoca della concessione), e i risarcimenti, la strada maestra sono i Tribunali, e la Legge 231 per i reati societari. Ma ci sono voluti tre anni solo per le indagini preliminari e chissà quanti per arrivare a sentenza. Una ragione in più per riformare rapidamente la giustizia, come ci chiede l’Europa.

La vicenda Aspi insegna che per correggere i vizi del sistema e riformare il Paese ci vogliono lungimiranza, idee chiare e tanto tempo: qualità che certamente non abbondano tra la classe dirigente del Paese.

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