Mentre il governo Draghi è tenuto insieme dalla guerra di Vladimir Putin all’Ucraina, i partiti del centrodestra conducono una loro spregiudicata campagna elettorale in parlamento intorno alla delega fiscale. Che è, come da tradizione, una battaglia per conquistare soprattutto il voto degli evasori fiscali.

Questo significano le parole di Matteo Salvini, il leader della Lega che è andato a incontrare il presidente del Consiglio Mario Draghi per avere la certezza «che nessuno pagherà un euro in più».

Nessuno, neanche chi dovrebbe pagare molto di più perché le imposte le evade o le aggira, grazie al progressivo svuotamento dell’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche che è ormai diventata un’imposta sui lavoratori dipendenti.

Il ministero del Tesoro ha diffuso ieri i dati relativi ai redditi degli italiani nel 2020, il primo anno del Covid. Ricordate le grida disperate di imprese, professionisti e partite Iva durante la pandemia, quando in tantissimi chiedevano ristori e indennizzi al governo perché avevano visto il loro reddito scendere a zero?

A leggere i dati del ministero si scoprono cose bizzarre, per esempio che in Italia il reddito medio degli imprenditori (titolari di ditte individuali) è di 19.900 euro, di pochissimo superiore a quello dei pensionati che si fermano a 18.650 euro. I lavoratori autonomi hanno dichiarato redditi medi più che doppi rispetto ai dipendenti: 52.980 euro gli autonomi, e 20.720 euro i dipendenti.

Certo, i primi sono calati più dei secondi durante la pandemia (-8,6 per cento contro -1,6 per cento), ma a vedere le statistiche aggregate verrebbe da dire che forse abbiamo un po’ frainteso le priorità negli anni del Covid: erano davvero i professionisti quelli da tutelare? Sono davvero gli autonomi da incoraggiare anche con la conferma di quella specie di flat tax che è il regime forfettario fino a 65.000 euro? 

Come ha ricordato su questo giornale Giuseppe Pisauro, un professionista con ricavi pari a 65.000 e un reddito imputato di circa 43.000 euro deve pagare soltanto una flat tax al 15 per cento, meno della metà di quanto versa tra Irpef e addizionali un lavoratore dipendente con lo stesso reddito.

Più tasse per gli evasori

I dati sulle dichiarazioni dei redditi vanno integrati con le stime contenute nella Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale, pubblicati una volta all’anno sempre dal ministero dell’Economia: in base ai modelli del ministero, il reddito da lavoro autonomi e impresa evaso è pari a circa 71,5 miliardi di euro in un anno, a cui corrisponde un’Irpef evasa di 26 miliardi (dati 2018). Non è un refuso, proprio 26 miliardi, soltanto da lavoratori autonomi e titolari di ditte individuali, l’equivalente di una manovra finanziaria ogni anno cui si sommano 8,6 miliardi di euro di contributi sociali non versati ai lavoratori.

Sono soprattutto i lavoratori autonomi a reddito più alto a evadere il grosso di quelle somme, quindi Salvini e i tanti come lui si ergono a difesa di un sistema fiscale che ogni anno redistribuisce 26 miliardi toli a servizi pubblici (o riduzione del debito) a favore di autonomi ricchi ed evasori.

Purtroppo la retorica anti-fiscale, imposta da un quarto di secolo di berlusconismo e leghismo, ha ormai corroso il dibattito pubblico e dunque anche Enrico Letta, segretario del Pd, si sente obbligato a dire che «nessuno vuole l’aumento delle tasse».

Ogni dichiarazione di questo tipo dovrebbe sempre essere accompagnata da qualche specifica: aumento delle tasse per chi? Opporsi a ogni aumento delle tasse significa difendere gli evasori, poiché loro sì che dovrebbero pagare più tasse, così come opporsi a ogni riduzione di tasse significa penalizzare in modo indebito i contribuenti onesti (o magari soltanto dipendenti con la trattenuta in busta paga) che versano tutto quello che devono.

L’abbandono dell’argomento dell’evasione ha generato una politica economica perversa, che procede per compensazioni invece che per riequilibri.

I documenti del ministero dell’Economia ricordano che ai lavoratori dipendenti fino a 28.000 euro va un credito fiscale di 600 euro, che assorbe i vecchi 80 euro di Matteo Renzi, un contentino per ridurre una pressione fiscale prodotta dall’evasione degli altri.

Chi non vuole leggersi le relazioni ministeriali, si prenda un bel romanzo, Works, appena ripubblicato da Einaudi dopo la scomparsa del suo autore, Vitaliano Trevisan: c’è il racconto autobiografico di un’intera vita lavorativa nel Veneto dove Salvini trova tanti consensi tutta vissuta in parallelo al fisco italiano, intere carriere e ricchezze fondate sul nero, dalla culla alla tomba, o meglio, dalla culla al sistema sanitario nazionale pagato con le tasse degli altri. Questo è il sistema che Salvini si erge a difendere. Per ovvie ragioni.

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