Matteo Salvini ha un vecchio vizio leghista: entrare e uscire dai governi. Aveva cominciato Umberto Bossi nel 1994. La differenza è che tra Bossi e il resto del primo governo Berlusconi i dissidi erano seri, mentre Salvini appare un po’ confuso. Anzi, parecchio.

Oggi nessuno si ricorda realmente il motivo formale che lo portò a far cadere il primo governo Conte. Qual era? Mi sembra di ricordare che c’entrasse la realizzazione della Tav Torino-Lione, trascinatasi per così tanto tempo che adesso la Francia sembra non volerla nemmeno più. I Cinque stelle hanno governato per anni facendo leva sull’essere forti sostenitori No Tav, non era certo una novità dell’ultimo minuto e sicuramente non un motivo valido per far cadere un governo. Ma per Salvini litigare è da sempre linfa vitale.

Adesso si accanisce sul governo Draghi. Giancarlo Giorgetti, che vorrebbe tanto lavorare con serenità al ministero dello Sviluppo Economico, non ha mai potuto dormire sonni tranquilli grazie al suo segretario.

A differenza di Luigi Di Maio, che non nasconde il desiderio di sbarazzarsi di Giuseppe Conte prima possibile, nella Lega la relazione tra Giorgetti e Salvini è un po’ più complicata. Il ministro sembra voler aspettare le elezioni per liberarsi del Capitano. Nel frattempo, quando può, semina qualche disaccordo ufficiale.  

Come con l’ultimo cavallo di battaglia di Salvini: il suo convinto no sul tema dell’invio delle armi all’Ucraina. Giorgetti ha risposto che: «Per arrivare alla pace, occorre convincere anche chi ha aggredito a smettere di aggredire. E purtroppo non si può fare solo a parole».

Sul tema della guerra il leader leghista è costretto a fare i conti con il passato. Non si tratta solo di riscoprirsi pacifista dopo una vita in divisa.

Contro gli immigrati disperati che arrivavano in Italia a chiedere protezione, molti dei quali per scappare dalle guerre, Salvini avrebbe volentieri schierato l’esercito a Lampedusa.

Contro i russi, che hanno invaso un paese con i carrarmati, non vorrebbe sparare un colpo. D’altronde Putin è il vero faro di Salvini, il suo riferimento politico, e non può rinunciarvi. In questi ultimi tempi non sa nemmeno bene cosa dire, sembra privo di slogan vincenti da t-shirt.

Non potendosi esprimere con magliette e felpe, come fa di solito, si è rassegnato a indossare giacca e cravatta e si è quasi ammutolito. In effetti, piuttosto che ripetere grandi classici come: «Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin», meglio stare zitti.

Deve aver influito anche la recente pessima figura fatta con il sindaco polacco di Przemysl, città al confine con l’Ucraina. Davanti all’arrivo trionfante di Salvini, il sindaco gli ha sventolato in faccia la maglietta con il volto di Putin, indossata in passato con fierezza dal segretario in giro per il mondo.

Matteo Salvini riesce a litigare persino con Giorgia Meloni, con cui in teoria dovrebbe andare d’amore e d’accordo. Il leader leghista non digerisce che Meloni sia ormai leader di fatto del centrodestra, sondaggi alla mano. Il vertice tra i leader è stato un fallimento, nonostante la mediazione di Silvio Berlusconi. Il forzista e il leghista ultimamente flirtano parecchio e si riavvicina l’ipotesi di quel fronte unito di cui si era parlato tempo fa. Uniti nel nome di Putin.

Matteo Salvini, attaccabrighe per eccellenza, si può godere solo queste litigate e lo scudetto del Milan, prima di una stagione di batoste.

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