Mario Draghi arriva nel momento più acuto di una crisi epocale dei partiti, e con un paese a pochi metri da un bivio di fronte al quale deve scegliere se riprendersi o collassare. Arriva con la pandemia tutt’altro che sconfitta, una crisi economica che rischia di spazzare via un pezzo importante del tessuto produttivo italiano, le disuguaglianze sociali pronte a esplodere, e alle porte il fallimento educativo di una generazione intera. Andrà tutto bene, per il solo fatto che Draghi è stato incaricato di guidare questo difficilissimo passaggio storico? Non è affatto scontato. Perché i partiti e i movimenti restano gli stessi, perché il parlamento resta lo stesso, perché i ministeri restano al momento gli stessi: fragili come lo erano ieri. E non è scontato perché la politica insufficiente degli ultimi anni non ha ridotto ai minimi termini solo la reputazione dei partiti, ma anche quella delle istituzioni. Il capo dello stato poteva contare su altri tecnici bravi e di primissimo livello. Ha scelto Draghi. Non solo perché tecnicamente il migliore, ma perché incarna un messaggio di solidità e stabilità in grado di raggiungere all’istante tutto il resto del mondo. Adesso, però, occorre dare vita ad un governo politico, non tecnico. Il modello di riferimento non è l’esecutivo di Mario Monti, ma quello di Carlo Azeglio Ciampi. Le ministre e i ministri siano quindi (per lo più) politici, e con alcune caratteristiche su cui non si possono più fare sconti: (a) competenza indiscussa, che non è solo “conoscere i dossier”, ma sapere come i problemi raccontati in quei dossier sono vissuti nel quotidiano da milioni di cittadini, e dove mettere le mani tra uffici e procedure dei ministeri per intervenire; (b) capacità di ascolto e dialogo dentro i rispettivi partiti o movimenti, così come con la società civile, non solo nelle sue rappresentazioni tradizionali ma nelle articolazioni più attuali, per raccordarsi con chi, dal basso, può far risalire le istanze più vive e contemporanee fino al governo.

Governo politico

Un governo politico è necessario perché è la politica, nonostante tutto, l’unica che possa ancora assicurare il funzionamento della pur logora cinghia di trasmissione tra i palazzi e la società. Politico per evitare che nel giro di poco diventi bersaglio di un tiro al piccione. Se Draghi infatti non arriva certo per fare tagli, arriva comunque per mettere ordine. Dovrà prendere decisioni tutt’altro che facili: perché non possiamo più continuare solo con sussidi a pioggia, perché bisognerà dire che non tutto è debito buono, perché servirà adottare misure, e fare investimenti con Next Generation Eu, capaci di trasformare la società assicurando che la ripresa poggi su basi sostenibili e non sia solo una sbiadita riproposizione degli scompensi di prima. Il nuovo governo non solo non si sottragga, ma rilanci rispetto alla politica, dandosi due tratti marcati. Il primo: i numeri 1 o 2 dei partiti e dei movimenti che sosterranno Draghi siano dentro la squadra, perché adesso serve il massimo della coesione, non il minimo della desistenza. Entrino come vicepremier o in dicasteri “prestigiosi” ma che non richiedono un particolare carico operativo o gestionale. E ci sia anche, con un ruolo significativo, Giuseppe Conte. Sarebbe un segnale di riconoscenza per i mesi passati e di unità per quelli a venire. Secondo tratto: se il nuovo governo deve guardare al futuro, che le istituzioni dimostrino di saper fare le rivoluzioni. Sia – a stragrande maggioranza – un governo di politiche, deputate e senatrici. A capo dei dicasteri più importanti dove serve girare la chiave rapidamente per rimettere in moto l’Italia, vengano nominate donne scelte per le loro storie di impegno pubblico e sulla base di una certa esperienza alla guida di organizzazioni complesse. Altro che half of it. Dopo whatever it takes, qui ci serve all of it.e donne scelte per le loro storie di impegno pubblico e sulla base di una certa esperienza alla guida di organizzazioni complesse. Altro che half of it. Dopo whatever it takes, qui ci serve all of it.

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