In fondo bisogna essere molto grati a Matteo Salvini e Matteo Renzi: offrono un grande servizio agli elettori di centrosinistra e a chiunque condivida valori anche solo vagamente progressisti. In una stagione di leader effimeri e ideologie gassose, i due Mattei svolgono la necessaria funzione di bussole politiche, di punti di riferimento. Basta guardare dove si collocano, che battaglie sostengono, per avere la granitica certezza che è meglio trovarsi dalla parte opposta. E non per ragioni tattiche: Pd, Leu e Cinque stelle governano, in formazioni variabili, con i due Mattei da quattro anni. Ma proprio per ragioni di principio, di merito.

Renzi, d’accordo con Salvini, vuole abolire il reddito di cittadinanza perché la gente, specie se povera o disoccupata, “deve soffrire”. E dove si deve collocare un progressista se non all’estremo più lontano possibile da simili affermazioni, che fanno passare in secondo piano tutti i difetti del sussidio anti-povertà?

Salvini, convinto che la priorità per la vita sociale degli italiani siano le discoteche a libero accesso (troppo tempo passato al Papeete), si batte come un leone contro il green pass e difende il diritto di scroccare la protezione vaccinale dagli altri senza neppure disturbarsi a fare una punturina. Ci sono dubbi su quale posizione tenere, anche solo per reazione?

I due Mattei sono riusciti anche a rinviare a settembre la legge Zan contro l’omotransfobia che pure aveva avuto una maggioranza alla Camera e ne aveva una al Senato, prima che Italia viva iniziasse a pendere verso destra. Meglio stare con chi si preoccupa dell’incolumità di omosessuali, trans e altre minoranze o con chi teme che le proprie idee ed esternazioni vengano classificate (spesso a ragione) come omofobe?

Sempre Salvini, sostenuto da Renzi e d’intesa con i radicali, vuole una serie di riforme della giustizia via referendum che hanno l’obiettivo di riformare il Csm, l’autogoverno dei magistrati (e ce n’è bisogno), ma soprattutto applicare il programma sempre sognato da Silvio Berlusconi: separazione delle carriere, nella convinzione che questo indebolisca l’accusa, meno misure cautelari per evitare restrizioni a chi potrebbe reiterare il reato di cui è accusato (ma se è un immigrato buttiamo la chiave, ovviamente) e cancellazione della legge Severino per permettere anche ai condannati di candidarsi, un problema che ovviamente riguarda soltanto alcuni politici, non certo i migliori. Ci sono dubbi su dove schierarsi? Il segretario del Pd Enrico Letta ha tentennato, ma si è tenuto saggiamente alla larga.

Goffredo Bettini, punto di riferimento di pezzi del Pd, ha scritto sul Foglio invece che firmerà per i referendum: una fenomenale piroetta per il grande teorico dell’alleanza Pd-Cinque stelle che aveva come architrave la riforma Bonafede della giustizia, considerata troppo “giustizialista” dai tanti che nascondono dietro il garantismo la voglia di impunità.

In un mondo complesso, insomma, chiunque cerchi punti di riferimento più solidi della eterea leadership di Enrico Letta, può sempre guardare ai due Mattei ( o a Bettini) e poi mettersi con convinzione il più lontano possibile.  

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